«Ti eccita che gli altri mi guardino?» gli chiesi.

Rispose con il respiro accelerato: «Da morire, piccola zoccola. A papi piace da morire vederti fare la troia con gli altri. La cosa più bella che potresti fare per me è farti scopare da un ragazzino mentre ti guardo.»

Eccolo. Eccolo quello che quando veniva al bar non mi guardava neanche per sbaglio. Quello che mai avrebbe lasciato la moglie racchietta e la bambina urlante per venirsene con me. Tu credi di essere un porco, bello, ma non hai fatto i conti con la Monica. Non sai quanto può essere centomila volte più perversa di te, Alex.

Quell’uomo mi stava letteralmente spazzolando l’anima. Oltretutto era anche famoso – spesso c’era la sua foto sui giornali – ed era cerebrale, proprio come piaceva a me. Impazzivo per lui, e lo aveva capito. Mai però che se ne sia approfittato, di questo. Mai.

Spesso gli chiedevo: «Mi ami?»

E lui: «Certo, baby, ti adoro follemente. Ma adesso togliti la camicetta, resta in reggiseno e fai la faccia da puttana, che voglio squartarti.» Mi amava, no? A modo suo, forse, ma mi amava. Non mi donava mazzi di fiori e i nostri incontri finivano immancabilmente con grandi ciulate e mai con passeggiate mano nella mano nei vialetti della città. Però mi amava, lo sentivo. D’altronde come avrebbe potuto non essere innamorato di una fighetta unica come me?

No, non mi diceva parole d’amore, al limite a letto mi stimolava con cose tipo: «Dai, che sei la mia bambina, vieni da papà che ti do le botte sul culetto.» Ma era il suo modo di volermi bene, era fatto così. Affettuoso, in fondo, a suo modo.

Non ero l’unica a impazzire per lui, devo dire. Questo era il punto. Guardandolo camminare le colleghe del bar e le altre frequentatrici fisse del centro se lo mangiavano con gli occhi. Fra tutte c’era una, in particolare, che non mi piaceva neanche un po’. Ogni volta se lo squadrava come un tramonto nel mar Egeo. Era una signora bruttina, vecchiotta, sui quaranta-quarantacinque con un fisico e un portamento da attrice hard senza classe.

Una collega mi mise in guardia, una volta: «Sai che quella si fa il sindaco?»

Ah. «E che ne sai?» chiesi.

«Lo dicono tutti, in città.»

Chiamai l’Alex e glielo chiesi: «Te la scopi, quella?»

«Ma no, che dici, Monica. Ci sei solo tu, per me.»

La odiavo, quella gallina faraona tronfia e gonfia che passava per il corso ostentando calze a rete e reggiseno push-up nonostante avesse tre figli cui badare e una faccia da stare attenti che se cascava a terra intralciava il traffico, tanto era brutta.

L’Alex doveva essere tutto per me, mica ho avuto tanto dalla vita, io. Almeno quello, no? Così decisi di affrontare la gallina. Frequentavamo entrambe la Maraja, un centro fitness e ayurvedico, molto trendy, ovviamente. Una sera, dopo essere stata in chiesa per una preghierina, mi avvicinai alla gallina mentre faceva – sbagliandolo completamente - un leg-extension.

«Quell’uomo è mio» dissi.

«E tu chi sei, piccola? Spostati che ho da fare. E poi quell’uomo chi?» disse.

«Il sindaco. Dicono che te lo scopi.»

«Ah, sì» fece lei. «Alessandro. Un bell’uomo, sì. Ma tu che vuoi, che hai l’esclusiva? Che, sei la moglie?»

Stronza beduina. «Io lo amo. E lui anche, gallinaccia» risposi furiosa. Nessuno avrebbe potuto toccarmi l’Alex. Così quando lei rise e tornò agli attrezzi approfittai della sua distrazione e le tirai un graffio alla schiena che la fece urlare. Ci azzuffammo per qualche attimo, finché non venne a separarci Massimo, l’istruttore. Il giorno dopo l’Alessandro mi chiamò. Era come impazzito, mi urlava al telefono. Ehi, terrone, ma come ti permetti di urlare addosso a una signora come me? Te la sei scopata, eh? Sennò come facevi a sapere della lite in palestra se non ti telefonava?

All’Alex piaceva che gli altri mi guardassero vogliosi. Io, che dovevo fare, mi facevo guardare. Una sera, a Gallipoli – meglio uscire fuori porta, a Lecce lo conoscevano anche i sassi – ci trovavamo a prendere un gelato in un bar, perché avevo le mie cose e non era il caso di fare le porcherie. Lì c’era un gruppo di ragazzetti che mi guardava nello scollo, ma ci sono abituata, non mi faceva alcuna impressione. L’Alex se ne accorse e mi fissò, nei suoi occhi leggevo il desiderio di qualcosa che non osava dirmi. Ma io sono Monica, bello mio. Non te lo scordare mai. Il bar era quasi vuoto, così sorrisi ai ragazzi, mi sbottonai la camicetta e me la tolsi restando con il push-up nero della Triumph, come quello dell’Herzigova. L’Eva, no? La modella russa, quella un po’ attempata.