Lo fissai con uno degli sguardi che avevo visto fare a Seka, una pornostar degli anni settanta, una che allora era fantastica ma che oggi è una vecchiaccia rispetto a me. Poi dissi: «In piscina, allora, signor sindaco. Fra mezz’ora finisco il turno qui al bar e vado.»

Mi guardò. Imbarazzato era ancora più bello.

«Io… okay, ci vediamo… non so… non so se vengo, Monica, ho degli impegni e be’, comunque… comunque ciao.» Bene. Ti sei accorto di me, Alex.

Ora ti cucino io.

Puntuale come un norvegese arrivò in piscina a trovarmi. Era un po’ a disagio, e d’altronde addosso avevo solo il tanghino a filo, vorrei vedere. Parlammo un po’. Mi disse di essere del posto e io di rimando gli spiegai come la vedevo sui meridionali, che proprio non dovevano esserci in Italia e via dicendo, ma che per lui – bonazzo com’era – potevo fare un’eccezione. Mi guardava sempre le tette, e lo comprendevo bene. Comunque era andata, lo sapevo. Chi può reggere all’impatto con una come me?

Mi invitò a pranzo per il giorno dopo e andammo in un posto carino, a Otranto, sul mare, si chiamava la Lampara, un ristorante per turisti che a volte cucinava anche cose buone. Mangiando l’Alex cominciò a toccarmi le mani, poi i capelli e mentre lo faceva io ridevo, ridevo perché quel suo modo presuntuoso di toccarmi mi faceva morire. Ti eccita la gnocchetta nordica, vero?

Fuori del ristorante mi baciò e io reagii nervosamente, per un attimo avevo perso la mia sicurezza. L’Alex mi piaceva, cavolo. E forse anche qualcosa di più.

Scoprii che aveva moglie e una figlia di due anni che si chiamava Asia. La cosa non mi piaceva. Doveva essere tutto mio, tutto per me, nessuno può permettersi di avere la Monica a mezzo servizio. Glielo dissi.

Rispose: «Non mollo la mia famiglia, Monica. Prendere o lasciare.» Ero cotta di lui e, cosa dovevo fare?, presi. Però mi ripromisi di sottoporlo a un tale trattamento che alla fine non avrebbe potuto restare con quella spaccaanime di sua figlia e con la moglie racchietta. Su, non è cattiveria: cos’altro poteva essere una donna di quarant’anni?

Diventammo amanti.

Un pomeriggio lo portai nella mia mansardina, lo spogliai e cercai di capire quali fossero i suoi punti deboli. Era la mia tecnica, sperimentata in nove anni di rapporti con gli uomini. Una volta memorizzate le cose che piacciono al tipo di turno, lo bombardo di sesso fino a farlo impazzire. Non potrà più fare a meno di me.

Compresi subito che l’Alex era un maialino della miglior specie, altro che. Lo era come tutti gli uomini, ovviamente, solo che ognuno lo è a modo suo – ho studiato, io, ho fatto fino al terzo industriale - ognuno diverso dall’altro. Gli piaceva che gli dicessi le parolacce, che lo umiliassi, che gli infilassi la lingua nelle orecchie e che gli solleticassi i capezzoli, e poi che gli mettessi un dito nel buchetto per fargli il massaggino alla prostata – lo avevo visto fare a Marilyn Jess e Pontello in ‘Sex Paradise’, un film del ’78 – d’altronde lui impazziva, per questo, perché non avrei dovuto? Gli piaceva quando gli infilavo in bocca il mio seno di burro. E poi amava guardare, il porcellino. Impazziva quando mi mettevo il reggiseno nero e il tanga, e una volta si è divertito per conto suo facendosi un handjob – oggi si dice così, io seguo internet! – solo guardandomi. Venne come se avesse visto un dvd porno, che emozione.

Gli facevo di tutto. E lo facevo accompagnandolo con le facce che ogni uomo sogna di vedere in una donna. Una volta fu forte. Dovevo fare il turno serale al bar in un giorno in cui c’era una di quelle odiose feste in maschera a tema, che era il Far West. Tanto per non fare torto ai miei fan, indossai una blusa scollatissima. Lui ebbe un’idea. Piazzò la sua videocamera nella stanza, l’accese, mi spogliò, si mise sopra di me e poi si divertì col mio seno dicendo «Zoccola, troia puttana…» finché non mi venne in bocca. A quel punto la Monica doveva dimostrare di essere quello che era, no? Guardai dentro l’obbiettivo con gli occhi più spenti che riuscissi a fare, poi lentamente dalle labbra feci colare il suo succo sui miei seni - eh, lo avevo trattenuto in bocca, ovvio, mica lo ingoio così, io - prima sul destro poi sul sinistro, e mentre lo facevo sorridevo all’obbiettivo. Fan… ta… stico…. Lui era in trance.

Ma avevo il torace tutto bagnato, dovevo pulirmi per andare al lavoro. Mi fermò: «No, lascialo asciugare senza pulirti. Così quando stasera il titolare e i clienti ti guarderanno le tette sentiranno il mio odore, non il tuo.» Mhh, che idea.