Il locale lavorava soprattutto la sera e la notte. Un sacco di bella gente, happy hours a tutta forza e un po’ di coca ed extasy sempre a portata di mano. Quando uno parte per una notte in disco deve essere bello carico, no? Figaccioni con il Cayennino e artisti di grido, tutti al Las Palmas di Lecce. E ogni uomo guardava me. I ragazzi perdevano gli occhi sul mio culetto mentre i vecchi mi lanciavano occhiate disgustose nella scollatura. Chissà perché ai vecchi piace il mio seno, ai ragazzi le chiappettine e ai ragazzini il seno. Io comunque mi divertivo a farli godere, sono così. Buona, generosa, e d’altronde, mica ho avuto tanto dalla vita, io. Almeno mi tengo stretto il potere di farlo tirare ai maschi di ogni età, visto che ce l’ho, questa forza. Un giorno un famoso pittore settantenne mi chiese di posare per lui. Risposi che ero contenta che finalmente qualcuno si accorgeva anche della mia faccia oltre che del resto. Voleva che posassi nuda. Poi ti lascio una striscia di saliva su tutta la schiena, disse. Che schifo mi fece, soprattutto quando tirò fuori cinquanta euro dal portafogli e me li mise sotto gli occhi. A me, lombarda, tu meridios vuoi fare il pigiamino di saliva? Vattene in quel posto, pensai, anche se in realtà dissi: «Deve scusarmi, maestro, ma ho le serate un po’ impegnate.»

Non guardavo in faccia nessuno, al Las Palmas. Sì, qualcosa la facevo, qualche ciulatina coi ragazzini che, frequentando il locale, mi avevano puntata, che una figazza come me lì non l’avevano mai vista. L’ultimo che mi ero fatto era un bagnino, ma era venuto in venticinque secondi. A me cosa me ne fregava di uno che veniva nello stesso tempo in cui si beve un caffè? In un attimo ti lascia a secco e poi diventa tuo fratello. Macchè. Io ho sempre avuto bisogno di un maialino, per divertirmi. Bello, alto, un po’ maturo, magari, ma non troppo. E lo volevo cattivo, talmente cattivo che al solo pensiero dovevano venirmi i brividi.

Lo conobbi un lunedì di ottobre.

Venne nel bar, erano le due, a mangiare qualcosa. Salutò Mimmo, il titolare, e si sedette a un tavolino. Bello era bello, alto era alto, indossava un abito color caffè shakerato corretto al Baileys. E non mi degnò di uno sguardo.

Ehi, chi sei tu, il papa?, mi dissi. Perché non sbavi guardandomi il culetto come gli altri? Mi chinai per pulire il tavolino offrendogli una discreta panoramica del mio fantastico seno e lo fissai. In genere a quel punto i maschi hanno la lingua da fuori, ma lui no. Lui niente, il signorino. Leggeva il menù e di me se ne fregava. Presuntuoso! Nel locale Mimmo aveva uno stereo dove metteva della musica moscia, a me piace l’’house da disco, l’acid, roba forte, insomma. Invece a lui l’arrazzavano cose tranquille, come quel brano dei Bee Gees che girava mentre parlavo col Signorino-Presuntuoso-Che-Non-Guarda-Negli-Scolli-delle-Ragazze-Figazze-dei-Bar-Trendy-di-Lecce. ‘How deep is your love’ si chiamava il pezzo.

Quel tizio tornò anche negli altri giorni. Mimmo lo chiamava ‘signor sindaco’ e mi spiegò che era il sindaco di Lecce. Non lo avevo mai visto, era da poco che lavoravo al locale. Si chiamava Alessandro, Alessandro Manarucci. Allora? Un signor nessuno, un impiegato come tanti. Come me.

Non mi guardava, ‘sto Bova di serie B. Così decisi di capire se fosse gay o, al limite, impotente, che poi la conclusione era sempre la stessa: non si combinava niente.

Alla fine di ottobre lui venne al bar, sempre alle due. C’era il sole, quel giorno, e mi venne un’idea. Dopo che ebbe chiesto la solita insalatona primavera, quella col tonno e la mozzarellina di bufala, fece per pagare e io gli dissi sottovoce: «Sindaco, se ne va di già?»

«Ho un po’ da fare, in ufficio, Monica. Ma torno presto, ci vediamo, sa?»

«Visto che bella giornata?» dissi con l’espressione più vanitosa e bastarda che riuscissi a fare. Mi guardò.

«Bella, in effetti» disse.

«Ora vado in piscina a prendere un po’ di sole» continuai. «Perché non passa da quelle parti a trovarmi? Io sono là. Sarebbe carino se mi facesse un po’ compagnia.» Mica ci penso tanto, io, quando uno mi piace.

Dall’alto del suo metro e ottanta e passa mi fissò: davanti a me c’era un uomo brizzolato di quarantaquattro anni che stava pensando velocemente a cosa avrebbe dovuto dire a una ventunenne strafiga come la Monica che gli faceva proposte strane. «Be’, se dovessi passare vengo a trovarti…» disse balbettando come un pirla galattico.