"There is something about death / Like love itself!", scriveva Edgar Lee Masters, "C'è qualcosa nella morte / che somiglia all'amore". Un epitaffio ma anche un teorema in cui cambiando i termini dell'operazione il risultato non cambia, ma anche un paradigma della letteratura e dell'arte più in generale: Eros e Thanatos.
In definitiva si potrebbe affermare che Cuori di Nebbia sembri una Spoon River emiliana, in cui i vivi si confondono coi morti su un tratto di strada tra Bologna e Modena su cui viaggiano quintali di mattonelle e sesso a pagamento, ma anche una via ai cui margini si sviluppano vite e storie sul filo della degenerazione, della malattia, dell'amore e del dolore. Le anime evocate da Licia Giaquinto profumano di dolciastro come cadaveri.
Un romanzo di ampi contrasti e di alta drammaticità quindi, che non sfigurerebbe sulla celluloide del Pupi Avati della Casa dalle finestre che ridono, in cui la nebbia diventa un agente di confusione generale e totale, un caos primigenio, il brodo primordiale e il liquido amniotico allo stesso tempo.
E ancora Masters ci viene in aiuto con le parole del suo George Gray:
To put meaning in one's life may end in madness,
But life without meaning is the torture
of restlessness and vague desire -
It is a boat longing for the sea and yet afraid.
Dare un senso alla vita può sfociare in follia
ma una vita senza senso è la tortura
dell'inquietudine e del vago desiderio:
è una nave che desidera il mare ardentemente ma ha paura.
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