Primo romanzo di Roberto Ampuero in cui fa la sua comparsa Cayetano Brulé: un investigatore che per il fisico generoso e l’amore per la tavola potrebbe ricordare Nero Wolfe, per la propensione a farsi malmenare Philip Marlowe, per l’eccentricità dei suoi collaboratori Pepe Carvalho; in realtà Brulé rientra a pieno titolo in quella splendida, e in qualche modo indefinibile, compagnia costituita dai detective latinoamericani di ultima generazione che ormai affollano senza paura le nostre librerie.
Cayetano Brulè è innanzi tutto un incrocio di culture: nato a Cuba, emigrato in Florida prima dell’avvento di Castro, riparato in Cile per amore, non è certamente un apologeta del líder máximo, ma ha anche abbastanza anticorpi per non esaltare la nuova democrazia nata dalla transizione cilena sotto il vigile sguardo di Pinochet.
E siccome in qualche modo è un alter ego dell’autore (anche lui oscillante per ragioni personali e professionali tra Cile, Germania, Cuba e Stati Uniti), è giusto che la sua prima avventura si qualifichi come itinerante.
La tragica scomparsa, apparentemente per rapina, di Cristian Kustermann, avvenuta a Valparaíso e mai metabolizzata dal ricco padre (“impresario” come fastidiosamente viene definito dal traduttore invece che “imprenditore”), fornisce l’avvio cileno alla storia alla quale viene dedicata la prima parte del libro. La seconda sezione è invece ambientata a Bonn, dove pare che il giovane Cristian sia vissuto per diversi anni: in realtà ma dove Brulé scopre che invece è transitato dopo un lungo e segreto soggiorno a Cuba. E sull’isola si svolge la terza parte in attesa che tutti i nodi vengano al pettine nel finale, ancora una volta cileno.
In Chi ha ucciso Cristian Kustermann? Ampuero si muove con disinvoltura nelle pericolose secche del dopo-Pinochet, ma anche dell’ambiente degli esuli cileni, più o meno ideologizzati, più o meno addestrati dalla generosa isola castrista, tutti però, prima o poi, costretti a fare i conti con un realismo che appanna anche gli ideali più granitici. E così vecchi rivoluzionari rimangono a osservare mestamente le macerie della loro giovinezza; esuli temprati da mille avventure scoprono che la realtà del loro paese è più flessibile dei propri schemi mentali; duri e puri di un tempo hanno imparato ad arrotondare le entrate con il commercio di armi.
Il miracolo dell’autore è quello di tratteggiare una situazione molto fluida e molto suscettibile di prese di posizioni manichee in modo distaccato con un velo di sofferto cinismo, alla Marlowe appunto, che trasmette senza problemi al suo Cayetano Brulé, amante della tavola, del tabacco, degli alcolici, delle donne: insomma della vita, anche se è pronto a perderla per arrivare in fondo alla sua inchiesta.
Simpaticamente carvalhiani si stagliano sullo sfondo della sua indagine alcuni eccentrici personaggi: l’assistente nippocileno Bernardo Suzuki; Margarita de las Flores, direttrice di un’agenzia di collocamento di domestiche e frequentatrice occasionale del letto del detective; e una piccola corte dei miracoli (lo sciuscià, l’amico erotomane, giornalisti e poliziotti dal passato non sempre specchiato) che lo circonda e lo aiuta.
Un classico, insomma, che fa tesoro della Golden Age, ma che si apre anche alle nuove istanze del noir internazionale.
Voto 7.5
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