Domenica 23 e lunedì 24 gennaio 2005 sono andate in onda su RaiUno le due puntate della miniserie La bambina dalle mani sporche, accompagnata, sin dall’inizio, dalle più rosee aspettative: un soggetto liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Giampaolo Pansa; un regista emergente autore di film come Vajont e Porzûs; un cast in cui, accanto a Sebastiano Somma e Ornella Muti nei panni dei protagonisti, figuravano come comprimari attori del calibro di Remo Girone e Giuliano Gemma.

Il risultato è stato, per usare un eufemismo, non incoraggiante.

Innanzi tutto il regista ha voluto trasportare la vicenda originaria, ambientata ai tempi di Tangentopoli, ai nostri giorni adombrando nelle vicende dell’imprenditore Celeste Cucchi, interpretato da Girone, i clamorosi crack finanziari che hanno scosso le cronache degli ultimi anni: la forzata “attualizzazione” è però rimasta sullo sfondo e anche la presenza del procuratore Concato (a cui ha prestato il volto Gemma), assai attivo non soltanto nelle indagini ma anche nell’esposizione mediatica, ha finito per risultare più che altro decorativa.

Infatti tutta la carica eversiva della cronaca nera di questi anni è stata maldestramente sterilizzata da un copione in cui hanno finito per prevalere i sentimenti assai privati tra il giornalista Giulio Guala (Somma) e la segretaria dell’imprenditore, Wanda Rosso (la Muti), cresciuti insieme in una casa a ringhiera del Monferrato.

Per due lunghe puntate il telespettatore ha inutilmente sperato in qualche efferato colpo di scena, confidando nella carismatica presenza di Girone (che purtroppo, a partire dalla mitica Piovra in poi, continua a essere utilizzato nelle fiction televisive quasi solo come il cattivo di turno); ma la storia ha ostinatamente puntato sull’enigmatica figura di Wanda e sui suoi stucchevoli giochini seduttivi ai danni del suo antico ma ancora ingenuo spasimante. E senza nessuna pietà nel finale, sullo sfondo peraltro inedito di una città come Torino, il regista ha tirato fuori dal cilindro, nell’ordine: il finto suicidio di Wanda; la sua misteriosa figlia, avuta da Cucchi, che assomiglia, come una goccia d’acqua, a lei da bambina; un cancro che si porta via la suddetta Wanda mentre sconta i suoi peccati tangentari in una solitudine canadese; e perfino un’amica bulgara che si presta, naturalmente in nome dell’intangibile diritto della piccola ad avere una famiglia, a mettersi insieme al già consolato giornalista.

Nel frattempo, ciliegina sulla torta, il cupo Girone è stato ucciso in cella da un caffè avvelenato (!): trovata che, visti gli agganci con la realtà, potrebbe risultare vagamente jettatoria.

Che dire?

Ci è dispiaciuto solo che in questa produzione, oltre al già citato (e malamente utilizzato) Girone, abbia dovuto pagare pegno Sebastiano Somma che, negli ultimi tempi, nei panni di un magistrato o di un avvocato, di un prete o di un commissario salvatore di ebrei a Fiume durante l’ultima guerra, si era costruita una solida base di consenso popolare come attore di fiction.

Per sua fortuna tra breve lo rivedremo con la toga, dall’una e dall’altra parte della barricata, impegnato a far dimenticare il suo incorruttibile (e dimenticabile) giornalista di provincia Giulio Guala.

Voto: 4