Per ammazzare il tempo ci potrebbe chiedere se per certi versi Severance, di Christopher Smith, possa o meno essere considerato come uno spin off di Hostel. Del film di Eli Roth ne ricalca sia l’ambientazione nell’ex Europa dell’Est (che nel cinema inizia a far più paura ora di quanto non ne facesse prima) sia il gruppo di sventurati che finiscono nelle mani di sadici torturatori. Vero però che sussistono anche delle differenza. Se nel film di Roth la Slovacchia era la no land’s man dove dei ricchi sadici davano fondo alle loro crudelissime perversioni (da segnalare che Hard Target, debutto americano del grande John Woo trattava un tema simile…), stavolta i sadici torturatori sono a tutti gli effetti indigeni (la vicenda si svolge in Ungheria), ex ricoverati di un manicomio criminale abbandonati a loro stessi all’indomani del dissolvimento dell’impero sovietico (e fa niente si sarà detto il regista se hanno sembianze, mosse, armi, da formazioni paramilitare, tipo quelle serbo-bosniache della guerra dei Balcani). Le vittime invece, per tornare ad Hostel, sono un gruppo di addetti alle vendite in Europa per conto della Palisade, una multinazionale d’armi, alle prese con una gita-corso di formazione per fare “squadra”, condizione sine qua non per qualsiasi successo degno di questo nome. Se qualcuno predilige le strutture “sgangherate” con Severance si troverà il pane che fa per lui sotto i denti. Sgangherato il film lo è e parecchio, vuoi per la recitazione alla meno peggio, vuoi per i registri, commedia, farsa, grottesco, horror, gore, splatter, che senza troppi problemi si rincorrono e si accavallano senza convincere fino in fondo, anche per un eccessivo ricorso ad un sonoro che spesso si sostituisce all’immagine (anziché esserle complementare). Naturalmente la circostanza che vede le vittime dipendenti di una fabbrica d’armi, suscita non poche attese sulle inevitabili “frecciate” indirizzate al commercio d’armi che difatti non mancano, anche se le attese vanno in larga parte deluse affidate come sono fondamentalmente a due gag: la prima che vede il caposquadra (antipatico e mai all’altezza del ruolo…) finire su una mina prodotta dalla stessa fabbrica alla quale si onora di appartenere (per la versione seria della faccenda vedere No Man’s Land), la seconda più capace di strappare una risata per quanto a denti stretti, che si preferisce non raccontare, accennando solamente che al centro vi è un lanciamissili. Svolazzo stilistico finale che si ricongiunge a quanto aveva lasciato in sospeso all’inizio.