Niente di niente a Venezia 2007 per il cinema italiano (fa il bis Ang Lee con Lust, Caution). Tre film in concorso e tutti e tre definiti (per bene che vada…) al massimo come fiction (pur se di alto livello…). Sarà, ma questo Il dolce e l’amaro, di Andrea Porporati (gli altri due erano Nessuna qualità agli eroi di Paolo Franchi e L’ora di punta di Vincenzo Marra) ha più di qualche ragione per essere visto.

Trattasi di un ritratto, al quale non difetta una certa aderenza antropologica alla materia, di venticinque anni di mafia vista attraverso gli occhi di un soldato (di mafia appunto…) con tutto quello che comporta, dalla fedeltà al boss, all’appiattimento del pensiero, dalla riscossione del pizzo alle uccisioni nude e crude, fino alla metanoia finale che spariglia le carte in tavola e fa di Saro Scordia (Luigi Lo Cascio) un uomo nuovo, un uomo ridens, un Lo Cascio laughs, un’altra testa finalmente.

Il difficile non è raccontare la storia, ma il nitore della fotografia, le frasi che riassumono intere filosofie di vita (“Nella vita c’è il dolce e l’amaro e un uomo deve assaggiarli tutti e due” recita profeticamente il padre a Saro bambino), la sintesi perfetta tra attrazione e repulsione incarnata da Saro e Ada (Angela Finocchiaro), la scena finale, che nella sua paradossalità riassume tutto quello che il film è stato, perfino quando ha rischiato di perdersi nel didascalico.