Il vento caldo graffiava il viso colpendo con polvere e rami secchi di alberi morti. L'ultimo caldo solleone di settembre si era portato via l'estate e con essa Emanuele, l'unico amico che Davide, Dado per tutti, avesse mai avuto.

Aprì la porta di legno verde ed entrò. Quello che cercava era ben in vista. Lo prese, lo aprì e si accomodò a sedere per terra.

Non era facile per lui avere dei compagni con cui giocare. Solo i grandi, ogni tanto, scambiavano qualche battuta con Dado, di solito senza ascoltarlo veramente e il più delle volte mossi da un irritante senso di compassione. Davide, Dado per tutti, aveva capito d'essere diverso dagli altri ragazzi del paese. La mamma e i dottori glielo avevano spiegato. Gli altri bambini erano stati più espliciti. “E’ arrivato Dado il ritardato”. “Ciao testa vuota...”. “Il mongoloide ha le mosche in testa”. “Dado è scemo, Dado è scemo”. E così per tutti i suoi ventotto anni passati in un paese troppo piccolo per passare inosservati.

Davide però sapeva anche qual era la verità. Sua madre gliela aveva detto una sera d'inverno.

Lui non era uno scemo, come a volte si sentiva chiamare camminando per la strada, lui era solo più lento. Anche quando era nato era stato più lento. Ci aveva messo troppo tempo per iniziare a respirare. Giusto quel pochino di troppo come diceva sempre la sua mamma.

Quell'estate Dado era riuscito a trovare un lavoro. Se l'era visto proporre alla fine di un lungo pomeriggio passato a guardare i vecchi della bocciofila rotolare stancamente dietro le loro palle colorate. Il signor Tommaso, proprietario del vivaio del paese, glielo aveva offerto assieme a una spuma al Cedro. Dado aveva accettato subito. Più difficile era stato convincere sua madre. Il signor Tommaso ci riuscì con una buona parlantina e una bottiglia di Vecchia Romagna.

Davide avrebbe dovuto tenere pulito da rifiuti ed erbacce il boschetto del vivaio. Un'oasi di verde lungo le sponde del torrente Samoggia. Solo un paio d'ore di lavoro, per di più retribuite, e poi tutto il resto del giorno da dedicare alla pesca, il suo passatempo preferito. Canna gialla in mano e piedi a mollo nell'acqua fresca.

Il piccolo bosco era un museo botanico all'aria aperta. Alberi d'ogni tipo e fattezza crescevano spalla a spalla, aspettando, un giorno, di poter ornare qualche cortile o giardino. Dado era felice. Il fiume, le piante, i pesci, gli uccellini e la pace. La natura non era stata benevola con lui ma almeno evitava di farglielo pesare, fornendo riparo e serenità.

Guardò fuori della finestra e poi riprese in mano il martello. C'era ancora qualche pietra troppo grande.

Si erano conosciuti grazie a una ruota di bicicletta forata. Davide aveva già visto altre volte il bambino, bici da cross rossa e zainetto blu in spalla, passare lungo il viottolo sterrato che tagliava il bosco a metà. Quella volta però la gomma dietro era a terra ed Emanuele, rassegnato, camminava sudando e spingendo. Dado gli aveva offerto un po’ della sua acqua e avevano cominciato a parlare. Il giorno dopo Emanuele si era fermato di sua volontà. Il terzo giorno erano diventati amici. Una strana coppia.

Emanuele, dodici anni, piccolo, magro e la faccia da ragazzino adulto. Davide, ventisette anni, alto, grosso e con il cervello fermo a un'infanzia senza età.

Si rigirò fra le mani l'ultimo pezzetto di minerale. Quarzo l'aveva chiamato Emanuele. Che cosa c'entrava però con il proprio orologio, questo Dado non l'aveva capito. Un'altra occhiata attraverso la piccola finestra sporca. Niente. Ancora presto.

Aveva dovuto passare ancora qualche giorno perché Davide gli facesse la domanda.

- Che cosa porti nello zaino?

- La mia collezione di minerali. - Aveva risposto Emanuele e poi, con fare solenne, aveva aperto i lacci e rovesciato il magico contenuto sull'erba fresca appena tagliata da Dado.

Un tesoro fatto di colori brillanti e riflessi luccicanti. A grande richiesta, Emanuele era salito in cattedra e aveva tenuto una piccola conferenza su ogni pietra. Davide aveva condito il tutto con applausi e risate d'approvazione.

- Sono in ritardo, devo andare.

- Vai a casa?

- No, vado al capanno di mio zio, dove ha l'orto.

- Ecco dove vai sempre! Anche tu tagli le erbacce?

- No. Io e lo zio puliamo un po’ i minerali, ordiniamo la collezione e poi giochiamo.

- Che giochi facete?

- Giochi da grandi. Li conosce lo zio.