Quando nel 1979 la Rai fece conoscere al grande pubblico L’ispettore Derrick, un investigatore tedesco lungo lungo e un po’ goffo, ma acuto e sensibile nell’indagare la psiche malata della dorata borghesia bavarese, molti si domandarono da dove spuntasse fuori. Il giallo tedesco era da noi pressoché sconosciuto: e in Italia da tempo eravamo una colonia anglosassone (e solo in parte francese) che faticosamente cercava di emanciparsi da una lunga servitù. Da quel momento il nostro teleschermo (e molto più in Rai che in Mediaset) ha cominciato a popolarsi di teutonici detective, panciuti come Koster o longilinei come Siska, fracassoni come la Squadra Speciale Cobra 11 o pensosi come Kress: e tutti (o quasi) hanno ottenuto un vasto seguito. Viceversa il giallo letterario tedesco, tranne qualche sporadica traduzione, è rimasto a lungo ai margini, surclassato persino da quello scandinavo (e svedese in particolare). Finché non è arrivato Bernhard Schlink. Magistrato e scrittore, ha trovato la sua collocazione editoriale più consona nella Garzanti che ne ha cominciato a tradurre i romanzi anche se a una certa distanza dalla prima edizione. E il successo è giunto puntuale, specie con le avventure dell’investigatore privato Gerhard Selb di cui, a inizio anno, a sanzionarne la definitiva consacrazione, è uscito in economica la ristampa de L’inganno di Selb. Ex magistrato negli anni lontani della Seconda Guerra Mondiale, e per questo bollato a vita come ex nazista anche se in realtà non lo è mai stato, Selb ha deciso di uscire dalla prigione del “dover essere” e si è inventato una professione in cui le regole le detta lui solo. Ormai avanti negli anni e in vista della settantina, vedovo di una moglie mai troppo amata, ha una relazione con Brigitte, di una trentina d’anni più giovane, che vorrebbe da lui qualche certezza sul loro futuro e magari anche un erede. Ma lui ama la sua vita da scapolo, coi suoi amici di sempre, come il commissario capo Nägelsbach (che ha l’hobby dei modellini costruiti coi fiammiferi) o il chirurgo Philipp (sempre a caccia di donne nonostante abbia raggiunto le sessanta primavere); vive a Mannheim, ma per questa inchiesta si sposta lungo la valle del Reno e spesso si trova ad Heidelberg. La vicenda prende le mosse da una strana assunzione per telefono da parte di un dirigente di un ministero a Bonn che vuole ritrovare sua figlia, Leonore Salger, che da tempo non dà più sue notizie di sé. Paradossalmente è questo il compito più facile perché, mentre la ragazza viene individuata in tempi relativamente brevi, pian piano viene fuori un disegno criminoso dalla vasta portata che affonda le sue radici negli “anni di piombo”, ma che coinvolge anche gli aspetti più bui del militarismo tedesco (la produzione di gas asfissianti per fini bellici durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale) e la difficile convivenza con l’ingombrante alleato statunitense che tende a creare, nelle sue basi, una sorta di enclave dove nessuno può mettere il naso. Selb si ritrova ben presto senza cliente e minacciato fisicamente: ma non demorde e va a fondo alla vicenda, rischiando anche la galera e l’amicizia di Nägelsbach, per smascherare il cinismo con cui tutti, forze dell’ordine, magistratura, militari ed ex sessantottini, cercano di perseguire i loro fini, violando le regole. E l’inganno a cui fa riferimento il titolo è appunto l’estrema risorsa che Selb deve mettere in gioco per salvare se stesso e la giovane Leonore della quale, malgrado tutto, si è invaghito. Il romanzo ha forte uno spessore psicologico e un solido ancoraggio alla realtà socio-politica tedesca degli ultimi decenni; e Selb se da un lato ricorda alcuni suoi colleghi televisivi per la precisione chirurgica con quale investiga le parti malate della Germania contemporanea, dall’altro però sembra aver ereditato dai modelli americani quel disincanto che, in fin dei conti, non è altro che una semplice autodifesa rispetto a un mondo che se ne va per la sua strada. Da tutta la vicenda emana una rarefatta malinconia che non investe soltanto i dubbi sempre crescenti di un detective giunto all’autunno della sua vita, ma anche le presunte certezze di uomini che uccidono, come afferma Selb, per impedire di essere smascherati. Non una prova dunque di onesta routine artigianale quella di Schlink, ma un’intrigante radiografia dell’essere tedeschi alla vigilia della caduta del Muro di Berlino, sospesi tra i fantasmi del passato e desideri ancora vaghi di emancipazione e di rigenerazione.
Voto: 8 / 10
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