Vale per The Protector - La legge dei Muy Thai di Prachya Pinkaew, quanto scritto per Crank, non fosse che stavolta la presenza volante dell’astro già nato Tony Jaa, esploso qua da noi con Ong Bak, lascia il segno più di quanto non faceva lo smorto Jason Statham che a confronto di Jaa sembra una lumaca con l’artrite. Siamo, si sarà capito, di fronte ad una di quelle pellicole a rischio, dove la sceneggiatura è poco più che un pretesto (un elefante rubato al legittimo propietrario Kham/Jaa che messosi sulle tracce dei rapitori riesce a liberarlo prima che finisca cucinato per avventori alla ricerca di cibi esotici…), mentre ciò che conta davvero sono i combattimenti dello stesso Jaa (un mix di tecniche non solo tailandesi…), combattimenti che a ben vedere in alcuni momenti non hanno nulla da invidiare a quelli cui Jackie Chan ha abituato mezzo mondo. Diverso però, e di parecchio, non tanto il repertorio al quale ognuno attinge, quanto il senso ultimo che anima i combattimenti stessi. È evidente che quelli di The Protector, una volta sottratta loro la dimensione acrobatica e antigravitazionale di cui Jaa è un maestro, risultano molto brutali e monocordi rispetto a quelli di Chan, alle cui coreografie comunque Jaa si ispira ampiamente (vedere le entrate e le uscite dai finestrini di un auto e la tipica arrampicata sui muri effettuata rimbalzando da una parete all’altra…). Se Jackie Chan ha dimostrato ampiamente di saper tenere assieme kung fu e comicità slapstik, combattimento tout court e sottofondo ludico, Tony Jaa è dedito solo all’annientamento dell’avversario, senza fronzoli e senza sottotesti. D’altronde, un clone tailandese di Jackie Chan cui prodest?