Sono molti gli scrittori americani approdati in terra nostra, molti bravi, appassionanti, ci trascinano dentro storie che neanche possiamo immaginare, ci catturano fino a ipnotizzarci.
Io che sono lettore cauto, diffidente, ho aperto Cold House di T. M. Wright con il cipiglio giusto: distaccato e freddo, tenendomi un po’ a distanza.
Mi sono imbattuto in una scrittura trascinante e coinvolgente allo stesso tempo, intrisa di un lirismo denso tale da accostarsi alla pura essenza della parola poetica.
Ha ragione Tom Piccirilli a definire Wright il poeta della Dark Finction, perché sulle vette del lirismo si eleva una storia toccante che ci porta lontano.
Michael e Elizabeth, un amore che deve ricongiungersi tra le tenebre del passato,un’atmosfera inquietante che va oltre il tempo.
I due personaggi, entrambe sposati, si incontrano per caso e da quel momento nasce un sentimento pulito e profondo. Ma tra loro echeggia un passato che non si può cancellare, che emerge come un fantasma sul desiderio di spingersi oltre, di andare avanti.
Chi si avvicinerà come me a questa lettura, con il cipiglio e il distacco giusto, non troverà splatter e urla mozzafiato. Si accomoderà in sussurri, spasmi e lunghi respiri, grazie all’abilità di questo scrittore apparso per la prima volta sul mercato italiano e che riesce a condurre il ritmo della narrazione congestionando la storia, per farla ripartire in quadretti di follia cruda e bruta.
Per così dire uno scrittore che non si identifica nella struttura rigida e complessa del genere, che si muove su un percorso già tracciato da autori come Patrick McGrath e Jerome Charin, uno scrittore, lasciatemi passare il termine, in voga a tutto campo.
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