Seconda puntata delle avventure dell'Alligatore, ovvero Marco Buratti, investigatore non violento che ama il blues e beve Calvados. La sua sfiducia nella giustizia italiana (è stato condannato ingiustamente a sette anni di carcere) fa sì che preferisca farsi aiutare da un malavitoso di vecchio stampo come il suo amico Beniamino Rossini, piuttosto che ricorrere a giudici e poliziotti. Stavolta la vicenda si svolge tra
la Sardegna e la Corsica: l'Alligatore ha ricevuto un incarico assai delicato, ovvero "rognoso", che lo porterà a uno scontro senza esclusione di colpi con una banda criminale di eterogenea composizione- ex agenti dei servizi segreti italiani e francesi, trafficanti di droga e avvocati corrotti assoldati per stroncare l’indipendentismo corso.
Ogni città ha una parte oscura e cattiva. Ogni città ha qualcosa da nascondere. Cagliari non fa eccezione. Certo, a prima vista non sembra, perché Cagliari è una città solare; ma dove la luce colpisce più forte, le ombre sono sempre più dense.
A immergersi nelle ombre di Cagliari ci pensa Marco Buratti, meglio conosciuto come l'Alligatore. Buratti è un investigatore senza licenza. Un investigatore atipico che rifugge dalle armi e dalla violenza, preferendo annegare il suo male di vivere nel Calvados e nel blues, colonna sonora costante dei libri della serie dell'Alligatore. Buratti è stato fottuto dalla vita. È stato condannato ingiustamente a sette anni di carcere per banda armata. Prima era un cantante blues, il suo gruppo si chiamava Old Red Alligators e non erano niente male. Ma una volta scontata la pena, Buratti ha scoperto che la galera gli aveva succhiato via la voce. Da quel giorno il blues può solo ascoltarlo.
Trovandosi in un ambiente non suo, l'Alligatore, per sopravvivere, ha dovuto imparare in fretta le regole della mala, e le regole non scritte della galera. In carcere ha osservato gli altri prigionieri, i veri criminali. Osservandoli ha imparato a conoscerli, ha imparato le dinamiche della malavita, divenendo un paciere, una sorta di diplomatico che interviene nelle faide tra criminali come mediatore. Nel carcere fa la conoscenza di Beniamino Rossini, un vecchio gangster dall’aria romantica e dai modi duri. Rossini è l'antitesi di Buratti: è un duro, un vero malavitoso con un'etica di ferro. Al contrario dell'Alligatore non disdegna le armi, e nell'ambiente della mala il suo nome incute paura e rispetto. Rossini non è affiliato a nessuna associazione criminale. È un cane sciolto. Odia la droga e la nuova criminalità, mentre adora giocare a nascondino con
la Guardia di Finanza a bordo del suo motoscafo dai motori truccati che usa per la sua attività criminale preferita: il contrabbando; armi, gioielli, persone che devono cambiare aria, ma mai droga.
Buratti e Rossini diventano amici inseparabili. Il vecchio gangster ricorre sempre in aiuto del giovane amico, e lo aiuta nelle indagini, essendo il grimaldello che permette di scardinare la titubanza dei criminali, per farlo accedere all'oscuro mondo della mala, e facendo il lavoro sporco, quello che l'Alligatore preferisce non fare.
Questa volta i due amici accettano un caso scottante, che li porta addirittura oltremare, nell'assolata e al tempo stesso oscura Cagliari. Tre avvocati sardi assoldano l'Alligatore per cercare la persona che li aveva incastrati di omicidio e traffico di droga, e per la quale vennero ingabbiati per due anni, prima di venire scagionati dalla lenta macchina giudiziaria italiana. A quanto pare il morto per cui li accusarono di omicidio non è poi così morto, e i tre avvocati vogliono che l'Alligatore scopra chi abbia incastrato i tre legali e perché. L'Alligatore, alcolizzato del liquore della verità, non può far altro che accettare il caso e chiama in suo aiuto il vecchio Rossini. I due amici capiscono subito che per proseguire nelle indagini hanno bisogno di qualcuno del luogo, che sappia come muoversi in una città ambigua come Cagliari, e assoldano un giovane gangster locale, tale Marlon Brundu. I tre soci danno il via alle indagini, e subito si accorgono che la faccenda è più rognosa di quanto avessero immaginato. Tra magistrati corrotti, trafficanti di droga e uomini dei servizi segreti passati dall'altra parte della barricata, i tre personaggi saranno costretti a mettere in gioco le loro vite per arrivare alla verità, e il prezzo da pagare non sarà per niente modesto…
Massimo Carlotto sa fare il suo mestiere. E non parlo solo di una bella scrittura, secca, diretta e implacabile. Parlo anche dell'anima. L'anima che riesce ad infondere nei suoi personaggi. Dopo il primo libro della serie,
La Verità dell'Alligatore, quando il lettore scivola nelle pagine di questo secondo episodio, trova dei volti conosciuti, ed ha il piacere di ritrovarli e riviverli. Carlotto approfondisce ancora di più i protagonisti della saga, soprattutto l'Alligatore, questo uomo dalla giovinezza strappata, che in questo romanzo si perde in una sbandata per la bella Gina, donna tanto affascinante quanto misteriosa. Buratti se ne innamora, ma presto capirà che in quella strana storia d'amore lui è solo una vittima. Con dei graffi incurabili nell'anima, l'investigatore si getterà anima e corpo nel caso, sorretto da un Beniamino Rossini in splendida forma, che farà fuoco e fiamme pur che venga fatta giustizia a modo suo. I due amici capiranno di essersi addentrati in un territorio oscuro, scoprendo segreti che non avrebbero dovuto scoprire. La verità ha sempre un prezzo da pagare, e questa volta il prezzo sarà molto alto…
Lo scrittore di Arrivederci Amore Ciao e L'Oscura Immensità della Morte, delinea con maestria la psicologia dei suoi personaggi, approfondendo quei lati che non aveva raccontato nel libro precedente. Il risultato è che il lettore si trova a conoscere ancora più a fondo l'Alligatore e il suo passato.
Un altro merito dell'autore è quello di trascinare il lettore col suo ritmo narrativo inflessibile, un loop tosto, con cambi di ritmo improvvisi, andate e ritorni violenti, e la voce dell'Alligatore sopra la musica che scava nella narrazione. L'anima del ritmo è proprio quel mistero che da il titolo al libro; non si sa cosa sia questo Mangiabarche. Si scoprirà soltanto alla fine del romanzo, e fino ad allora, la tensione narrativa sarà quasi ansiogena.
Degna di nota e l'attenzione e l'accuratezza con cui lo scrittore disegna la città di Cagliari, nel suo bel porto, nella sua luce, nei suoi punti di ritrovo più famosi, ma anche nella psicologia dei suoi abitanti e negli oscuri intrecci malavitosi che costituiscono la sua spina dorsale. Carlotto è un osservatore attento e un buon ascoltatore, perché riesce a donare ai dialoghi, soprattutto quelli con qualche incursione nel dialetto cagliaritano, un ritmo e una cadenza che sono quelli del parlato.
Questo libro non è un giallo. Questo libro è un noir. C'è una bella differenza. Un giallo ha sempre un finale consolatorio dal punto di vista sociale: l'assassino viene smascherato e ucciso o consegnato alle autorità giudiziarie. Il noir non ha quasi mai un finale consolatorio, perché non è nella sua poetica. La poetica del noir è quella di portare alla luce storie nere che ricalcano la realtà; la fiction è solo uno strumento per mostrare ai lettori il marcio della società. Questo è ciò che fa Il Mistero di Mangiabarche. Porta alla luce una vicenda che ha dell'oscuro, dove buoni e cattivi si scambiano di ruoli, e tocca a un ex cantante di blues ed ad un malavitoso vecchio stampo correggere il copione di una vicenda dove niente è ciò che sembra; nemmeno l'amore.
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