Siamo ormai in piena estate. Molti lettori si staranno godendo le meritate ferie, il mare, il riposo e il sole. Quale romanzo migliore quindi se non un romanzo che parla dell'estate, ambientato in una regione italiana, forse tra le meno note, ma che ha certo molti lati da scoprire? Stiamo parlando di Stefano Santarsiere e del suo L'arte di Khem (libri/5069). Non si tratta, ancora una volta, di un'opera strettamente di genere, ma di un romanzo che racchiude diversi aspetti e tematiche, che lo rendono perciò di difficile definizione.
Dandoti il benvenuto nel nostro salotto letterario virtuale, entriamo subito nel merito della nostra chiacchierata. Come sai io ho definito il tuo romanzo drammatico, che è però un aggettivo di comodo…. Tu come lo definiresti?
E' un po' il crocevia fra un romanzo di formazione, di avventura e fantasy. Quest'ultima accezione va intesa in senso molto ampio, perché ben lungi dalle storie di maghi e stregonerie, quel che prevale è l'aspetto esistenziale del racconto. Tutto confluisce in quello.
In effetti uno degli aspetti principali del romanzo è proprio la commistione di elementi tipici di generi che possono dirsi agli antipodi: il romanzo intimista e il fantasy in particolare. Personalmente credo che la forza di quest'opera stia soprattutto nella componente esistenziale e nelle tematiche legate all'infanzia e all'emarginazione. Perché allora buttarsi sulla commistione di generi e non osare confrontarsi con uno ben definito?.
In parte perché mi interessava dare al romanzo uno spessore diverso, volevo introdurre più di una chiave di lettura proprio per offrire spunti alternativi di riflessione. Questo non vuol dire che la letteratura di genere sia meno rispettabile, ma è semplicemente più codificata. Un giallo è un giallo, non deve dire molto di più del necessario o inoltrarsi in territori lontani dal genere.
Non mi riferivo al giallo in particolare, volevo essere provocatoria: non è più comodo inserire spunti e temi eterogenei e diversi per paura di confrontarsi con le regole precise di un genere definito?
Forse un po' è così, anche perché è senz'altro vero che non mi sono mai specializzato in un genere particolare, pur avendo una predilezione per la letteratura soprannaturale; di conseguenza non ho interiorizzato un preciso sistema di regole. Ma sinceramente non ne sento la mancanza. Mi piacerebbe cercare percorsi nuovi, o quantomeno percorsi personali.
In generale, quali sono le motivazioni che ti hanno spinto a scrivere?
Me lo chiedo anch'io. Essenzialmente, penso che dipendiamo tutti da un forte bisogno di espressione, perché in essa si raffigura la nostra visione del mondo. Se abbiamo la fortuna di scoprire il modo di soddisfare quel bisogno, che sia la scrittura o qualche altra forma, ci mettiamo a sfruttarlo più che possiamo. E' una questione naturale, come l'acqua sotterranea che deve trovare il suo sbocco in superficie.
E da dove viene questa storia così particolare?
Dalla voglia di raccontare qualcosa della mia infanzia e nello stesso tempo di analizzare l'improvviso passaggio alla vita adulta in ottica simbolica.
E qui entriamo nel merito di una delle tematiche più belle, approfondite e principali del romanzo: l'infanzia. I protagonisti sono ragazzini, il tutto è vissuto e raccontato dal loro punto di vista o meglio, dal punto di vista di un uomo di oggi che era ragazzino allora.
L'infanzia assume connotati straordinari, uno stato di grazia dove i sentimenti, l'amicizia, l'amore, la fedeltà reciproca sono assoluti, privi di contaminazioni o ambiguità e dove la vita quotidiana può improvvisamente assumere una dimensione favolosa. E' la filosofia dell'opera di Mark Twain, ad esempio, di libri come Tom Sowyer. Nella vita adulta i protagonisti scoprono la normalità inappagante e l'impoverimento dei sentimenti. Il protagonista si sforza di utilizzare la sua ricchezza per migliorare il mondo, ma è condizionato dall'arrivismo e dal sospetto altrui.
Infatti l'altro tema che impregna le pagine è proprio quello del rapporto tra infanzia e età adulta, che riproponi attraverso il rapporto diverso che i bambini hanno con lo sconosciuto e attraverso la narrazione dell'avventura da parte di un adulto che ha vissuto anni addietro quell'avventura. E qui si inserisce il tema del ricordo, che a sua volta si intreccia con quello del fantastico…
E' vero. Il ricordo ha in sé un potere di trasfigurazione che può sfociare nel fiabesco. La creazione di una storia è senz'altro favorita dal ricordo.
Quindi questa storia è autobiografica? Racconti l'avventura attraverso i ricordi di un'estate della tua infanzia?
Non proprio. Sicuramente ci sono alcuni elementi molto autobiografici, soprattutto in singoli episodi. Per esempio lo scherzo degli ufo o le serate al Rifugio sono reali e vengono direttamente dal mio passato. Per il resto è una questione di sensazioni, di descrizioni. I luoghi che fanno da sfondo, la collinetta con il castello, il fiume, la piazzetta con l'olmo dove si affaccia la casa di Fulcanelli, sono fotografie di luoghi reali che molti lettori hanno perfettamente riconosciuto. E le emozioni descritte durante le sortite al fiume, oppure quel senso di incompiuto che c'è nella comunicazione tra ragazzini, anche queste sono frutto di esperienze mie.
Però ancora una volta, vista la preponderanza di tutti questi elementi legati a una realtà concreta mi chiedo, perchè la scelta di mescolarli con il tema dell'alchimia, tipico di altri scenari?
Perché era funzionale non solo all'intreccio, ma al tessuto simbolico del libro. L'alchimia è la metafora della trasformazione del bambino in uomo, la materia grezza che si trasforma in oro; ma la storia insinua il dubbio che il processo non sia del tutto positivo e che la crescita (la trasformazione dei metalli vili in oro) sia un processo che porta in sé un cero grado di disinganno.
Personalmente questo significato simbolico io l'ho visto nell'estate che cambia la vita, momento catartico della fine dell'infanzia e del passaggio all'età adulta.
E' vero, infatti i paragrafi finali del libro alludono ai pomeriggi di autunno, in cui si consuma il ricordo dell'avventura e si prepara l'ingresso nel mondo dei grandi. I misteri svaniscono. La luce si affievolisce e declina nel buio della sontuosa Villa Palombara, dove restano soltanto i disegni fantastici del soffitto a conservare un barlume di fantasia.
Un altro tema che emerge tra le pagine è quello del rapporto tra allievo e maestro, una tematica già cara agli antichi greci. Tu la riproponi attraverso il rapporto che si crea tra il misterioso Fulcanelli e il giovane Vidiani.
Questo rapporto rappresenta la necessità che tutti sentiamo di lasciare il segno, un'eredità in qualcun altro. Fulcanelli scopre in Vidiani una forma di autenticità che lo colpisce al punto di volergli trasmettere la sua sapienza, senza tuttavia condannarlo alla vita eterna. Questo è un altro elemento del libro, che si sfiora proprio alla fine: davvero varrebbe la pena vivere in eterno?
Vuoi provare a risponderti a questa domanda?
D'impulso risponderei di sì. Sono così attaccato alla vita che mi piacerebbe viverla in eterno e vedere dove andrà a finire il mondo. Ma allo stesso tempo mi spaventa l'idea di sopravvivere a tutti, alle persone care, agli amici… Nel romanzo si allude alla difficoltà di ritenere i ricordi: se bastano pochi anni per dimenticare le cose che ci hanno fatto sorridere, come si fa a trattenere le sensazioni per sempre?
L'aspetto realmente originale del tuo romanzo è, a mio avviso, l'ambientazione. Tra i protagonisti, spicca infatti la tua regione: la Basilicata. Che ruolo ha questa nella vicenda?.
Direi decisivo. E' proprio lo scenario della Valdagri che ha generato il primo seme. Mi piaceva l'idea di stabilire una corrispondenza tra i paesaggi e i caratteri. Ho voluto contestualizzare la storia in senso geografico e storico, per darle autenticità.
In che modo hai creato questa corrispondenza di cui parli?
C'è un'assonanza continua tra luoghi e soggetti. Le scene in cui emerge la vitalità dei ragazzini sono immerse nella vitalità della natura: il fiume, i boschetti, il lago, gli alberi di ciliegie fanno da sfondo alle avventure, ai furti, ai litigi. Le scene in cui qualcosa cambia e si palesa il mistero, si svolgono in una dimensione che modifica la realtà rendendola quasi onirica: la casa di Fulcanelli non è tanto diversa dalle vecchie case di paese, ma ha qualcosa di magico; la collinetta rivela un mondo sotterraneo; lo sciabordio del fiume notturno sembra un sussurro di creature alla Blackwood… Insomma, si parte dall'autenticità, da quello che è teoricamente vicino al lettore, affinché il risultato fantastico funzioni meglio.
La bellezza di questa ambientazione è proprio la veracità che si sente. Inoltre hai dato con essa una connotazione tipicamente italiana a temi che più spesso si trovano in altri contesti.
Non avrei potuto scrivere il mio primo romanzo partendo da ciò che non conosco, (in realtà ne avevo già scritto un altro, ambientato nella Germania di fine 800, che infatti è una schifezza); d'altra parte il sud Italia, la Basilicata in particolare, il mondo dei piccoli paesi antichi e sconosciuti, con le sue leggende, le tradizioni, il folklore, rappresenta un humus fecondo per un certo tipo di letteratura. Ma volevo evitare gli stereotipi del racconto rurale, dialettale o storico; volevo qualcosa di più moderno, che proiettasse la realtà locale in una dimensione universale. In ogni modo, l'operazione di estrarre schegge di fantastico e perfino di orrorifico dalla campagna italiana sta prendendo piede anche al nord: pensate solo a Eraldo Baldini. Infine ho collocato la storia nel 1978, per creare un'opportuna distanza rispetto alla narrazione, aumentando il pathos del ricordo con un pizzico di nostalgia. Chi ha vissuto quell'estate, l'estate dei mondiali in Argentina, non potrà che apprezzare. All'epoca avevo quattro anni e per fare delle descrizioni credibili mi sono dovuti documentare molto.
A partire da qui possiamo passare a parlare della parte più operativa della stesura del romanzo: che tempi di gestazione ha avuto?
La prima stesura è del 2000. Ci sono ritornato su nel 2003 e 2004 soprattutto per aumentare il bagaglio simbolico del libro. L'intreccio è nato quasi subito; l'idea di un incontro magico tra ragazzini e uno stregone, o qualcosa di simile, ce l'avevo da tempo e intuivo che questo poteva offrirmi l'opportunità di raccontare qualcosa del mondo dell'infanzia. Però non volevo un romanzo horror, dove i ragazzini si coalizzano contro il mostro. Volevo piuttosto qualcosa di vicino al romanzo di formazione, che mi permettesse di inserire temi, che mi stavano a cuore, ad esempio la diffidenza verso il "diverso". La prima stesura conteneva già tutto. Il finale invece mi ha fatto tribolare: non volevo la classica sbrodolata che lascia indifferente il lettore, ma allo stesso tempo dovevo mantenere le promesse dell'inizio. Spero di esserci riuscito.
E come sei arrivato alla pubblicazione?
Ho inviato il libro a diverse case editrici. Alcune di esse mi hanno contattato proponendomi soluzioni che non mi convincevano. La Pendragon, per bocca di Roberto Di Marco, coordinatore della collana Tempi Nuovi, un bel pomeriggio ha fatto squillare il mio cellulare. Devo dire che all'inizio ho perfino dimenticato di richiamarlo, con mia somma vergogna.
E quando poi lo hai richiamato?
Lui è stato gentilissimo. Roberto è una persona fantastica. Mi ha spiegato i meccanismi della pubblicazione e mi ha guidato verso la presentazione del libro, di cui è stato relatore insieme a Emanuele Montagna.
Prova a raccontarci cosa hai provato quando hai preso in mano il tuo romanzo pubblicato.
Una strana sensazione. Ero felice, ma insieme un po' inquieto. Mi sembrava che, da quel preciso istante, il libro non fosse più completamente mio, ma di quelli che lo avevano editato e soprattutto dei lettori che lo avrebbero acquistato.
Nel complesso ti ritieni soddisfatto del risultato?
Sì e no. Bene o male il libro è arrivato ovunque sia stato richiesto. Le presentazioni sono andate bene e ho ricevuto buone recensioni. Ma speravo in uno sforzo maggiore da parte della casa editrice sul fronte promozione. Alla fine questo ha pesato sulle vendite.
Quindi, vista la tua esperienza, cosa consigli di fare a chi ha un romanzo nel cassetto?
Se è nel cassetto, vuol dire che ha commesso un piccolo ma decisivo errore: non l'ha fatto leggere in giro. Per uno scrittore la prima cosa importante (dopo leggere tantissimo) è mettersi a confronto. Individuate persone di cui vi fidate, e che siano sincere ai limiti della brutalità, e fate leggere loro i vostri scritti. E' importante non essere sordi alle critiche e migliorare il proprio stile; in generale, cercate contenuti originali, che valga la pena raccontare, ma senza trascurare che essi devono aderire al proprio mondo interiore, altrimenti si perde quell'indispensabile autenticità che fa un buon libro. Dopodiché, cercare l'editore giusto. Non proponete romanzi rosa a Urania, o libri horror ad Harmony, per fare esempi estremi. Conosco personalmente aspiranti scrittori che si ostinano a fare così.
Per concludere vorrei che tu provassi a convincere chi ti ha conosciuto fin qui a sceglier eil tuo romanzo: perché leggere L’Arte di Khem, tra tutti i libri che si trovano sugli scaffali in libreria?
Perché è affascinante. Perché è tenero. Perché in fondo è una storia vera.
E infine, c'è chi mi critica perché faccio sempre questa domanda, ma io vado avanti per la mia strada. Ormai il tuo romanzo ha quasi due anni, a quando il prossimo?
Innanzi tutto ho un sito internet e un blog dove cerco di inserire contenuti, non solo letterari e con cui sperimento altre forme di espressione; tuttavia, nel blog sto sviluppando un romanzo a episodi che si chiama Storie dal Club, incentrato su un gruppo di scavezzacollo del mio paese, sullo sfondo di una vecchia casa affittata a 50mila lire al mese; sono racconti comici e grotteschi e, chissà, un giorno potrebbero diventare una raccolta in volume. Inoltre ho appena terminato la prima stesura di un nuovo romanzo. Appena finita la seconda (fine luglio) lo farò leggere ad alcune persone, il cui giudizio mi è prezioso. Dopodiché farò la terza stesura e infine lo proporrò per la pubblicazione. E' il mio metodo.
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