Andrea Camilleri e Salvo Montalbano: un binomio vincente. Il primo è uno degli autori più prolifici dell'ultimo periodo, il secondo il commissario più amato d'Italia.

Entrambi erano attesi dai loro lettori e sono tornati, da poco più di una settimana, sugli scaffali delle librerie con La pista di sabbia.

In realtà c'è sempre una sorta di pudore nel commentare un nuovo romanzo di Camilleri, le attese sono alte e si fatica a distinguere la linea di demarcazione tra un'aspettativa delusa e la reale mancanza di qualcosa.

E questo è un po' il caso dell'ultima avventura del commissario Montalbano.

Chi segue l'autore da anni, chi ama il suo personaggio, chi lo ha visto crescere e invecchiare è difficile che si sentirà appagato dalla lettura di questo libro.

Questo non perchè il romanzo sia brutto, o illeggibile, anzi. Le pagine scorrono rapide e godibili, appassionano e coinvolgono e ci si trova rapidamente alla fine. Semplicemente, però, non brilla. Non c'è nulla che lo renda speciale, non c'è quel tocco che lo farà ricordare rispetto a un altro. Manca il profumo di Sicilia che così tanto si respirava nei primi quattro romanzi del ciclo; sfumano personaggi che erano certezze nel mondo di Montalbano; in generale sembra appannato.

In poche brutali parole: già visto e insipido.

Montalbano, invecchiando, ha perso lo smalto, non si rinnova, si racchiude su se stesso e sul suo mondo, appiattendosi.

Tutto questo non significa che il libro non sia, appunto, piacevole e onesto, ma non va oltre: si accontenta di essere un volume di intrattenimento e, soprattutto, non comunica più come i primi Montalbano sapevano fare.