È appena terminata su RaiUno la seconda serie delle avventure della professoressa Baudino e non possiamo esimerci da qualche annotazione in margine a questo successo televisivo annunciato: perché, a nostro avviso, tranne gli indici d’ascolto, tutto il resto ne esce male.
Ne esce male Margherita Oggero, la scrittrice che s’è felicemente inventata l’anonima “profia” cinque anni fa e che comprensibilmente ha collaborato alla stesura dei nuovi soggetti originali visto che i romanzi che ha dato alle stampe con la stessa protagonista sono soltanto tre: personaggi, situazioni, ambientazione delle storie sono stati colpevolmente sterilizzati per il pubblico di prima serata; e la garbata ma intelligente ironia che anima la pagina scritta s’è tramutata in una commedia leggera, “molto” leggera con licenza di uccidere l’intelligenza dei telespettatori..
Ne esce male l’intreccio poliziesco, stretto com’è tra le incredibili acrobazie investigative della prof. (come farà ad avere tutto quel tempo libero?) e il triangolo amoroso che gli sceneggiatori hanno messo in piedi tra l’intraprendente insegnante, l’affascinante commissario e una disinvolta pm.
Ne esce male la scuola, rappresentata secondo l’ottica distorta e un po’ cialtronesca che va per la maggiore in tv e anche al cinema: una serie di maschere da commedia dell’arte (il preside pignolo, la collega con problemi familiari, la protagonista “alternativa” benvoluta dagli studenti, l’allievo bravo e un po’ timido) che fanno veramente pensare a chi non vive nella scuola che i soldi profusi dallo stato per l’educazioni dei nostri figli siano davvero buttati.
Ne esce male la verosimiglianza generale del programma: nessuno, dico nessuno, si comporta in modo approssimativamente realistico. Una prof. che insegna poco e che, quando è in classe, distribuisce a capocchia interrogazioni e compiti; un commissario che permette intromissioni nella sfera dell’indagine del tutto inverosimili; una pm che sembra più incline a portare a letto il suddetto commissario che a dirigere l’inchiesta; i sottufficiali di polizia che fanno a gara a imitare la bassa forza presente nella – non a caso – rivale e contemporanea fiction “Carabinieri”; un medico legale ipocondriaco; e infine un marito architetto il cui unico titolo professionale è quello di architettare (e scusateci l’indecente gioco di parole) una treschetta con l’avvenente maestra di danza dell’insopportabile figlia Livietta. Per non parlare di Giulio, l’”amichetto” di Livietta e Potti, il cane che, da Rex in poi, non può mancare mai in nessuna fiction che si rispetti.
E infine ne usciamo male anche noi: perché, tutto sottratto, finiamo irretiti da questo gioco al ribasso, da questo sottoprodotto della “commedia all’italiana”, da questo – chiediamo scusa per il termine – garbato “cazzeggio” in cui tutto è falso; compresa la morale finale per cui i baci galeotti e adulterini del marito e della moglie vengono indirettamente assolti dall’elastica morale di un’allieva e, sommandosi, si elidono per la felicità di chi, tra un anno sorriderà ancora al duo extralight Pivetti-De Caro.
Voto: 4
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