Le memorie di un giovane sbirro
di Luca Crovi
Le due promesse che in genere un giallista cerca di mantere sempre con i propri lettori sono fondamentalmente le seguenti: tenere vivo il ritmo della suspense sino all’ultima pagina della storia e fare in modo che tutto torni negli sviluppi narrativi che ha approntato. Anni di letteratura di genere hanno dimostrato che se anche non si seguono le venti regole ferree stilate da S.S. Van Dine (ma anche quelle dettate da Austin Freeman, da Raymond Chandler e persino da Elmore Leonard) si può centrare l’obbiettivo del successo nel campo della narrativa poliziesca ma esiste una sorta di dannazione eterna che spesso mette in crisi gli scrittori di genere: la creazione del passato del proprio eroe e lo sviluppo progressivo della sua psicologia e gli eventuali mutamenti e sviluppi del mondo che lo circonda. Narratori come Conan Doyle, Agatha Christie, Rex Stout, Georges Simenon hanno sofferto non poco per creare nel tempo l’universo narrativo in cui si sono mossi i loro Sherlock Holmes, Hercule Poirot e Miss Marple, Nero Wolfe e Jules Maigret. Così, non deve essere stato facile per Gianni Biondillo tessere le architteture del suo Il giovane sbirro (Guanda) in cui ripercorre passato e presente delle avventure del suo ispettore Michele Ferraro. Frammenti della sua vita erano già stati raccontati nei precedenti romanzi Per cosa si uccide e Con la morte nel cuore ma in Il giovane sbirro lo scrittore milanese ha deciso di fare una solta di capriola all’indietro, di salto mortale con torsione in aria, cercando di riunire tutti, ma proprio tutti, i fili delle storie da lui raccontate fino a oggi. Nel volume vengono così rimontati vari racconti che erano stati pubblicati in antologie edite da Mondolibri, Morganti editori, Mup editore, Noreply e Guanda, ma trovano spazio anche lunghe parti inedite che costruiscono l’affascinante albo fotografico dell’ispettore Ferraro. Sicuramente Biondillo ha imparato molto dalle regole della continuity dei serial televisivi e delle graphic novel americane. Sa quanto si debba giocare con il destino degli eroi e dei supereoi per farli entrare nella personale mitologia del lettore. E così, fin dalle prime pagine di Il giovane sbirro, scopriamo che anche un romanzo generazionale-musicale come Per sempre giovane (pubblicato da Biondillo la scorsa estate) faceva parte della saga dell’investigatore di Quarto Oggiaro. Infatti, sotto gli abbreviati nomi di Fra’ e Mic,
Biondillo aveva infatti celato all’epoca i suoi Francesca e Michele Ferraro. Si era così permesso di narrare in maniera singolare la nascita di questa coppia che si era divertito a far litigare, convivere e separare nei suoi noir milanesi. Nel loro passato i coniugi Ferraro (che adesso non possono più vedersi) sono stati teneri fidanzatini ma anche appassionati musicisti, cresciuti fra cantine polverose e concorsi canori senza alcuno sbocco professionale. Scopriamo così che l’ispettore Ferraro è stato un suonatore di musica pop con una passione incontenibile per il Lucio Battisti più metafisico (quello delle canzoni scritte assieme al poeta Pasquale Pannella, quello delle sperimentazioni elettroniche di Don Giovanni, La sposa occidentale, Hegel). Biondillo ci rivela anche che il suo eroe ha abbandonato gli studi universitari perché aveva bisogno di un lavoro che gli permettesse di sbarcare il lunario e proprio per questo è divenuto uno sbirro. Un poliziotto che prima viene mandato in zone di montagna a fare la cosiddetta gavetta (in Valtellina ma anche nelle valli bergamasche) e poi quando vede accettata la sua richiesta di trasferimento ritorna nella sua grigia Milano. A Ferraro resterà impresso nella memoria il ricordo di quei giorni in cui poteva perdere tempo fra le pareti di minuscoli commissariati dove la noia era sovrana e la quantità di delitti e crimini da indagare minima. Eppure, già all’epoca aveva dovuto occuparsi di strani delitti rituali (che forse nascondevano le azioni di sette sataniche), di traffici di droga (celati all’interno di una sperduta trattoria rinomata per i propri piatti di pasta e polenta), della sparizione di celebri scrittrici di romanzi rosa (come la romantica Viviana Du Roi), della morte di giovani avvocatesse e della tragica fine di insegnanti appassionati di escursionismo. Non tutti i casi in cui Ferraro è coinvolto vengono da lui risolti. In molti inciampa per caso, magari perché si è fermato a mangiare qualcosa in trattoria oppure perché aveva bisogni impellenti da espletare. E Biondillo mostra di avere sempre il giusto equilibrio fra commedia e tragedia quando racconta il mondo che circonda il suo poliziotto. In Il giovane sbirro scopriamo così segreti sulla vita di questo simpatico e “smutandato” guascone di periferia, approfondiamo il suo casuale istinto investigativo, viene confermata la sua cocciuta testardaggine e il suo innato senso di giustizia (che lo porta a ficcare il naso anche in affari che non lo riguardano) ma vengono anche ritratte con nitidezza alcune delle persone che più gli sono vicine: il fruttivendolo Don Ciccio (che ha fatto del senso dell’onore la sua ragione di vita), il manigoldo Mimmo O’Animalo (pronto a dare una mano a Ferraro ogni volta che si tratti di scassinare una porta o attuare blitz non convenzionali), l’insopportabile moglie Francesca (impicciona e con un’assurda ossessione per le diete). A tessere le fila fra le decine di storie che compongono Il giovane sbirro, c’è quella drammatica, raccontata in presa diretta del povero immigrato albanese Kledy che finisce suo malgrado vittima dei macchinosi sistemi della giustizia italiana. Una semplice pizza con i suoi coinquilini si trasformerà per Kledy in un vero incubo che lo vedrà prima rinchiuso fra le pareti del centro di permanenza temporaneo di via Corelli e che lo costringerà poi a perdere, giorno per giorno, la speranza di trovare una via d’uscita all’assurda situazione nella quale è finito. Leggendo Il giovane sbirro ci si accorge di quanto Biondillo si sia divertito nel progettare e costruire da buon architetto le impalcature dell’universo narrativo del suo eroe. Ogni pezzo del puzzle sembra essere stato messo a suo posto ed è stato anche cesellato per l’occasione, ogni faccia del cubo è stata girata dal lato giusto. Persino il lavello di casa Ferraro che “deraglia sul pavimento” nelle ultime pagine del romanzo ha un ruolo da protagonista in questa storia. E l’allagamento di una casa che per qualcuno potrebbe essere una disgrazia si tasforma per Michele Ferraro in un piccolo miracolo che gli cambia la vita, anzi dovremmo dire che gliela restituisce.
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