Ma anche tanta politica, tanti discorsi. Da giorni l’Italia non parlava d’altro, erano finiti su tutti i telegiornali.
Il Paese stava coi Gigliesi: Gelo e Leone erano assassini, nessuno li avrebbe più voluti.
Lo Stato era in merda, non sapeva che pesci pigliare. Se dava ragione agli occupanti, che figura ci faceva?
Se provava a sfondare con la forza, scoppiava un gran casino. E se poi si faceva male qualcuno, allora sì che erano cazzi.
Ai Gigliesi la questione interessava poco o nulla. Loro di là non si sarebbero levati.
Le uniche navi che in quei tre giorni attraccarono sull’Isola furono quelle dei giornalisti.
Un tipo segaligno, Devoto si chiamava, sbarcò con la troupe della RAI. Fece le interviste e riprese tutti, ma proprio tutti gli assedianti.
Solo Randagia, vecchio filibustiere, durante le riprese non mostrò mai la faccia. Se ne stava chino a slegare e rilegare i lacci delle sue Clark’s.
Quando gli operatori smobilitarono, salì sul ponte della Liberté, e col megafono cominciò a urlare:
“IDIOTI! Televisione un cazzo! Quello mica si chiama Devoto… Di cognome fa Moretti, quando abitavo a Roma stava sotto di me!
È UNO SBIRROOOOOOOO!”
E così il danno era fatto: tutti schedati!
All’alba del terzo giorno, l’aria di festa diventò più pesante. Lo Stato non faceva un passo indietro, gli assedianti cominciavano a essere stanchi.
Lorenzo T. tornò a parlamentare. Rudoni era nervoso, recitava la parte dello stronzo: “A questo punto credo che vi siate divertiti abbastanza!”
Lorenzo T., occhi di ghiaccio: “Non ci stiamo divertendo affatto.”
Ancora gelo. La cosa stava prendendo una brutta piega. Giornalisti appuntavano, segretari dei carabinieri scrivevano. Scrivevano il silenzio, l’immobilità.
Finì come finisce sempre, che vinse chi tenne duro.
E non furono i ribelli.
Le madri piagnucolavano per le notti alla diaccio. I bambini iniziavano a frignare.
Qualcuno tra i compagni temeva l’arrivo dei rinforzi dal continente, le spranghe dei pulotti.
E così com’era nato, in maniera spontanea il blocco si sciolse, quella sera tardi del 29 agosto 1976.
L’Armata Nera
Settembre 1976
Il Giglio riprese la sua vita. Gelo e Leone non arrivavano. “Forse non vengono più”, questo pensava la gente. Nessuno sapeva nulla e i giorni scorrevano lisci.
Ma il 17 ci fu lo Sbarco in Normandia.
L’Armata Nera piombò sull’Isola come uno schiaffo al buio.
Trecento uomini in assetto da guerra, sette elicotteri, due dozzine di mezzi blindati.
La gente al Porto rimase di sale.
Si presero l’Isola, col permesso dello Stato.
Due alberghi requisiti, posti di blocco, cecchini, guardie a ogni angolo di strada.
E alla fine del bordello arrivarono loro: gli assassini.
In elicottero da Catanzaro, scortati come Capi di Stato, nemmeno sembravano accorgersi di tutto il casino che avevano combinato.
Gelo e Leone si sistemarono da amici fascisti che stavano sull’isola. Ex repubblichini coi soldi, facce da cazzo.
Furono mesi duri per i Gigliesi: controlli ripetuti, spostamenti difficili, la paura e la rabbia per gli sbirri a presidiare ogni cosa.
Tutti erano sul punto di saltare in aria. La miccia era corta.
Tre mesi di bile, poi finì tutto.
Avvisi di garanzia
Febbraio 1977
“Cinquanta?”, Lorenzo T. sgranò gli occhi.
“Te l’ho detto. Ho fatto il giro ora. Cinquanta.” Replicò Carlo amaro.
Lorenzo T. era fuori di sé: “E che vuol dire? Fanno come i fascisti? Ne piglio uno su dieci? C’era mezza Isola là! Tutto il Consiglio Comunale insieme a mille e duecento cristiani!”
Carlo nemmeno rispose. Si vedeva che gli fumavano.
Lo Stato aveva fatto la sua mossa, non gliel’aveva fatta passare liscia: cinquanta comunicazioni giudiziarie. A cazzo.
L’accusa: interruzione di Pubblico servizio e Blocco Navale. Roba pesante.
Lorenzo T. schiumava di rabbia. E non per le accuse, ci mancherebbe…
Per il modo: si fa così? Uno su cento, come i nazisti?
Se ne andassero affanculo!
In mezzo al casino erano finiti persino dei pescatori. Vecchierelli raccattati alla bell’e meglio per fare numero.
Al processo a Grosseto ci andarono tutti. L’amministrazione affittò un Gabbiano, un traghetto piccino per far sì che nessuno si perdesse l’evento del secolo.
I pescatori vecchierelli non capivano nulla, tremavano.
Tra loro c’era pure Gino il Sordo. Lui e il figlio Fulvio sotto processo.
Entrò prima Fulvio dal magistrato. Ci stette un’ora.
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