In vacanza a San Francisco, Frank Bigelow, un avvocato commercialista, scopre di essere stato avvelenato con una sostanza radioattiva che gli lascia soltanto due ore di vita. Preso dalla disperazione l’uomo inizia a cercare il colpevole del gesto criminale...
A rivederlo con oggi, dopo l’affaire Litvinenko, l’ex spia russa avvelenata a Londra nel novembre del 2006 con una micidiale dose di polonio 210 servita con un piatto di sushi (mentre a Cannes 2007 viene proiettato Rebellion – L’affaire Litvinenko, un documentario a firma di Andrei Nekrasov e Olga Konskaya sulla tragica fine dell’agente del KGB e la Warner acquista i diritti per un film sulla vicenda con Michael Mann alla regia e Johnny Deep protagonista), D.O.A. Due ore ancora, acrostico che sta per “dead on arrival” (a segnalare l’arrivo di un cadavere secondo alcuni ad un commissariato, secondo altri al pronto soccorso di un ospedale, fatto sta che nel film è il commissariato) di Rudolph Maté, eccelso direttore della fotografia che sta a Dreyer come Nikvist sta a Bergman, fa ancora la sua figura, magari non bellissima, ma comunque dignitosa. DOA (sottoposto a due remake, prima nel ’69, L'uomo che doveva uccidere il suo assassino, e poi nell’88 D.O.A. (Cadavere in arrivo)) si fonda su un procedimento narrativo che crea suspense procedendo da un lato a svuotare un contenitore, quello del tempo che inizia a mancare dal momento esatto in cui Bigelow scopre di essere stato avvelenato in un bar, per riempirne dall’altro un altro, quello dei fatti che hanno preceduto l’avvelenamento di Bigelow e che lui stesso è costretto a ricostruire per tentare di capire il perché qualcuno ha deciso di avvelenarlo. In controluce è facile scorgere la vicenda sommamente kafkiana dell’uomo comune che d’improvviso si ritrova all’interno di un incubo dal quale gli sarà impossibile uscire e dove la soluzione del caso, per quanto raggiunta, offrirà solo una parziale (molto parziale…) rivincita. Fortemente atipico per più di qualche verso in D.O.A. il climax, segnato indelebilmente dalla diagnosi di avvelenamento, è collocato quasi all’inizio, e non c’è traccia di dark lady. Al contrario il personaggio femminile principale è assimilabile senza particolari problemi ad una figura caritatevole e fedele nei confronti del protagonista, per quanto incapace di incidere positivamente sul tragico destino dello stesso. Celebre la frase che apre il film, dopo che la cinepresa di Maté ha seguito a lungo Bigelow (Edmond O’Brien) lungo gli interminabili corridoi della stazione di Polizia: “Devo denunciare un omicidio” dice Bigelow. ”Chi è stato ucciso?” chiede il poliziotto “Io stesso!” risponde Bigelow.
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Schede di approfondimento a cura di Massimo Monteleone
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