Forse chi ha già letto Il sangue non è acqua, secondo romanzo di Paolo Agaraff, edito dalla peQuod, riterrà che questa non è la sede adatta per una recensione.
In effetti l'opera non può certo definirsi un giallo, né un thriller, né un noir; forse si avvicina di più a un horror o a un romanzo di fantascienza, ma, nonostante questo, si ritiene che meriti comunque un piccolo spazio su queste pagine.
Questa considerazione deriva dalla forte capacità dell'autore di riprendere, fare suoi e riproporre spunti che derivano da un forte background letterario, tra cui anche quello dei grandi classici del giallo.
L'importante, però, è andare con ordine.
Mortorio: un'isola sperduta della Sardegna. Anno 1930. Sette lontani parenti, convocati per entrare in possesso dell'eredità di un cugino da poco defunto. Gli strani personaggi che popolano l'isola e abitano Villa Eleonora. Un diario, scritto circa cento anni prima, che sembra contenere oscure verità.
Questi alcuni elementi che costellano il romanzo e che si miscelano a creare una storia ricca di tensioni, colpi di scena, orrori e misteri, fino a un finale estremo e risolutivo.
Quella che sembra una normale riunione di famiglia, quindi, si trasforma in una tragedia, quando, uno dopo l'altro, i personaggi muoiono, uccisi brutalmente da un assassino che pare mostruoso e crudele. Ma quale può essere il movente di tanto sangue?
I richiami a H. P. Lovecraft sono forti ed evidenti, tanto che qualcuno ha definito il libro come il sequel delle famose vicende di Innsmouth, ma è riduttivo fermarsi qui. Questa componente ne denota sicuramente l'aspetto horror, ma è necessario andare oltre.
Paolo Agaraff, infatti, è abile nell'unire a queste atmosfere i riferimenti tipici di altri generi, creando un quadro a più tinte.
E qui entra in scena il giallo. Tanto per cominciare l'ambientazione è quella che potrebbe essere tipica per lo svolgimento di un murder party. Una villa su un'isola sperduta, personaggi che non hanno modo di scappare, ma che cercano di restare in vita contro un nemico invisibile. E' vero non ci sono gli investigatori, ma l'ambientazione ricorda senza dubbio alcune atmosfere degli scenari più classici, di quei gialli definiti "della camera chiusa".
Qui non c'è alcuna camera chiusa a chiave dall'interno, ma la concezione alla base è la stessa. Si tratta di un'isola, un ambiente "chiuso", dove pare impossibile trovare una soluzione razionale al mistero.
E qui entra in scena il soprannaturale, componente fondamentale e caratteristica. Soffermiamoci, ancora, però, sul giallo: come negare gli echi di Agatha Christie, in particolare di Dieci piccoli indiani? Inoltre a tratti si respirano le atmosfere di Sir Arthur Conan Doyle e del suo Sherlock Holmes de Il Mastino di Baskerville.
Tirando le fila di tutti questi elementi, cosa si ottiene? Un romanzo snello, piacevole, avvincente. E quello che traspare maggiormente è una scrittura goduta da parte di chi la esercita e, di conseguenza, godibile per il lettore. Tra i richiami ai grandi, la resa di una vicenda autonoma e il lavoro di limatura e "impasto" emerge evidentemente la cosa più importante: il divertimento da parte dall'autore.
Quello su cui Agaraff potrà migliorare continuando nel suo lavoro è la costruzione di uno stile sempre più consapevole e personale, proseguendo quell'evoluzione già avvenuta rispetto a Le rane di Ko Samui, sua opera prima.
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