Già apprezzato regista di diversi film horror e action, Soi Cheang propone con Dog Bite Dog un noir sporco e sicuramente fra i migliori hongkonghesi presentati all’Udine Far East Film del 2007. Ambientato prevalentemente a Hong Kong, con una seconda parte spostata in Cambogia, il film narra le vicende parallele del poliziotto Wai (Sam Lee), giovanotto dai modi durissimi e spietati con qualche conto in sospeso con il padre, e un sicario senza nome (Edison Chen), giunto appositamente per denaro dalla Cambogia per uccidere su commissione la moglie di un giudice. Lungi da ridursi a un mero scontro fra rappresentante della legalità ed emblema del male, Dog Bite Dog viceversa ribalta tutti i consueti meccanismi del genere, riuscendo a donare una visione volutamente marcia e nello stesso tempo poetica di entrambi i versanti, creando una sorta di gioco di specchi che, seppur riuscito solo parzialmente, rappresenta sicuramente un buon antidoto contro il pericoloso appiattimento dell’universo cinematografico hongkonghese. La città innanzitutto: avvolta dall’oscurità pressocché perenne dei vicoli e trasformata in uno scenario squallido fatto di discariche, mercati abbandonati e grattacieli opprimenti, Hong Kong non è certo la perla scintillante che ammicca seducente in Confession of Pain, né il razionale reticolo urbano decifrabile grazie alle proprie doti di poliziotto, come accade in Eye in the Sky (tanto per citare due fra i titoli hongkonghesi più attesi ma deludenti proiettati al festival). Viceversa, l’ex colonia britannica rivela la sua natura più istintuale e animalesca, in sintonia con la rabbia celata e più spesso esibita nei gesti dei personaggi. Come un cane che si nutre degli avanzi persi in una discarica, Hong Kong diventa una specie di cloaca sulla quale riversare il proprio dolore di esistere nonostante la coazione a ferire chiunque capiti sotto tiro. In questo, Wai e il sicario da lui inseguito non sono molto diversi: entrambi rispondono alla propria rabbia interiore con il metro della violenza, e alla fine non semplicemente le parti si invertiranno, ma ciascuno cercherà di avvicinarsi all’ideale di vita dell’altro. Wai insegue il cane rabbioso venuto dalla Cambogia solo per essere a sua volta ridotto alla stregua di un cane a pagamento dalla sua sete di vendetta. Analogamente, il sicario cercherà di vivere una vita “normale” fatta di amore ed espedienti, senza però riuscire a scampare all’eterno ritorno del passato sotto forma di nemesi. Nonostante la scelta nichilista  decisa con un certo compiacimento da Wai, che determina le sorti dell’intera vicenda, però, e nonostante l’apparente raggio di speranza dato dall’idillio romantico del sicario con la sua donna (Pei Pei, davvero brava), il film è pervaso dall’inizio alla fine da un senso di incompletezza che non riesce a farlo decollare veramente, come se paradossalmente l’autore avesse diretto la vicenda con il cervello e non con le viscere, nonostante lo strazio di violenza presente sullo schermo. Soi ha sicuramente il merito di non volersi piegare alla carineria e alla perfezione a tutti i costi che dilaga fra molti suoi colleghi, ma il nichilismo a tutti i costi sembra provenire più da una volontà di volersi diversificare a prescindere che non da un pathos autentico. L’impressione è che abbia voluto soltanto accennare senza osare davvero di portare la vicenda alle sue estreme conseguenze, soprattuto nella figura di Wai, la cui trasformazione in cane da combattimento forse meritava un maggiore approfondimento rispetto all’ovvia spirale di violenza generata nel finale. Meritano comunque una segnalazione i due attori principali Sam Lee e Edison Chen, quest’ultimo apparso, a dire il vero senza suscitare particolari emozioni, in Infernal Affairs 2. La virata romantica, sostituita poi dall’impennata violenta del finale, è senza dubbio quanto di più possa avvicinarsi alle mescolanze fra generi tipiche della cinematografia hongkonghese dei tempi d’oro, ma nel complesso il film mette in ballo diverse potenzialità narrative non sfruttate a pieno, sfociando in eccessi violenti che a volte rischiano il pacchiano, soprattutto nel finale.