L’attore in crisi Poon Kar–fai (Lau Ching–Wan) si arrabatta tra mediocri serie televisive e piccole parti in film a basso costo, cercando ancora di dispensare consigli ai colleghi su come si dovrebbe fare del vero cinema. Molti sul lavoro lo reputano un rompiscatole, ma lui è soltanto stufo della crescente approssimazione e assenza di talento da cui l’industria cinematografica hongkonghese è ormai caratterizzata. Kar–fai sembra trovare un’unica, magra consolazione nelle conversazioni con il suo amico meccanico (Wayne Lai), anche lui ex attore ma diversamente da Kar–fai dotato di un superiore senso di realismo. La carriera di Kar–fai sembra precipitare nel momento in cui la produzione gli propone un solo contratto per un intero anno, e lui rifiuta indignato. Ma l’imprevista amicizia con l’aspirante attrice Faye (Huo Siyan) ragazza di campagna disposta a tutto pur di diventare famosa, dona all’uomo una nuova spinta per ricominciare. Kar–Fai si improvvisa manager della ragazz, mettendo da parte il proprio ego di attore decaduto per insegnare i trucchi che conosce alla sua pupilla. Quando però il noto regista Gordon Chan (se stesso) propone a Faye un ingaggio per il suo prossimo film ad alto contenuto erotico, fra i due nasce lo scontro: Kar–Fai è preoccupato che le scene di nudo possano stroncare la carriera di Faye ancor prima che decolli, Faye invece vuole tentare la fortuna, e non scivolare nell’inazione come insinua lui abbia fatto, mandando a rotoli il suo talento. Ma c’è anche di più: i due ormai si sono innamorati, e vedere la ragazza fra le braccia di un altro potrebbe essere causa di enorme sofferenza per Kar–Fai. Ma l’ambizione è la componente principale del DNA di un attore, e Faye decide comunque di accettare il ruolo nel film di Gordon Chan, emigrando in Giappone per diversi mesi. E Kar–fai, cosa farà? Rimarrà ad aspettarla, o piuttosto seguirà il consiglio del collega Tony (Tony Leung Ka–fai), che gli dice di ricominciare senza pensare ai momenti bui passati perché il talento è dentro di noi, non nei riconoscimenti che riceviamo?
Diretto da Lawrence Lau, che in questo film cambia completamente il suo registro abituale, My Name is Fame è un’apparente commedia romantica venata di malinconia e drammaticità e che si trasforma presto in un atto d’amore non tanto per il cinema tout court quanto per la recitazione come mestiere prescelto, con tutto il relativo corollario di tenacia, senso di scoramento e ambizione che caratterizza questa dimensione così speciale. Disseminato di piccole incursioni nel mondo dell’artigianato cinematografico, con attori e attrici assoldati per un giorno per girare una scena pericolosa a Mongkok, registi svogliati che dirigono una scena come farebbero la spesa al supermercato, e una serie di camei di alcuni volti noti della cinematografia dell’ex colonia britannica (i registi Fruit Chan, Anne Hui e Gordon Chan, gli attori Ekin Cheng e, grandissimo, Tony Leung Ka–fai che si esibisce in un elogio della dignità dell’attore), My Name is Fame è soprattutto un monumento alla fede incrollabile nella propria consapevolezza di essere, nonostante tutto, un attore, e in tal senso la recitazione di Lau Ching–wan, capace di dar corpo e voce a registri diversissimi fra loro, è davvero straordinaria e impagabile. Da antologia la sequenza conclusiva, geniale nella sua ruffianaggine nei confronti degli Hong Kong Film Awards, la cui statuetta famigerata, riprodotta nell’ingresso della Avenue of Stars sulla Tsim Sha Tsui Promenade, alla fine viene davvero consegnata all’attore che impersonava Poon Kar–fai. Come a dire, la realtà si beffa della fantasia omaggiandola (e viceversa). Un vero spasso.
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