Negli articoli apparsi in questo spazio nei mesi scorsi si è fatto continuamente menzione del “genere noir”. Si sono visti autori e opere, non strettamente legati alla narrativa commerciale e d’intrattenimento, e si è cercato di chiarire in che modo il loro lavoro poteva essere considerato anche parte di un Genere.
Si è dunque scritto che esiste un genere noir e un modo di fare letteratura – di scrivere, di raccontare, di impostare e strutturare il romanzo – “nero”. Non è stato però mai chiarito cosa fosse questo noir, quali ne fossero – come genere prima ancora che come potenziale elemento di letteratura “alta” – i tratti distintivi, i luoghi comuni, gli schemi e i temi.
Personalmente, ho sempre trovato fastidiosa la confusione che spesso – anzi, quasi sempre – viene fatta fra poliziesco/hard-boiled/thriller e noir vero e proprio. Non si tratta di una semplice imprecisione nel distinguere una tipologia narrativa dall’altra, né di banale pressapochismo nell’attribuire etichette a opere e autori.
Non è quindi un intento di chiarificazione tassonomica a spingerci ora. Si tratta di indicare – come sempre, con l’ausilio di un esempio concreto – cosa sia il noir e come debba essere separato dai (lontani) cugini: il giallo, il poliziesco, il thriller.
Prendere James Ellroy come alfiere del noir “puro” potrebbe sembrare scontato, ma c’è una ragione per questa scelta. Ellroy è un autore che più degli altri utilizza ambientazioni poliziesche o hard-boiled per scrivere romanzi noir, ed è quindi particolarmente adatto come esempio della diversità sostanziale che distingue i generi sopracitati.
Consideriamo la trilogia (per ora incompiuta e limitata ai primi due volumi) underground e, in parte, anche il cosidetto LA Quartet. I protagonisti sono spesso poliziotti (Dave Klein, nel “quartetto”) o agenti governativi più o meno segreti (Pete Bondurant in American Tabloid e Wayne Tedrow jr in The cold six thousand).
Le trame in cui rimangono impigliati e che costituiscono la storia (o le storie) che compongono i romanzi riguardano intrighi politici e crimini violenti, chiamano in causa “investigatori”, la ricerca del colpevole, lo svelamento delle dinamiche del delitto, l’indagine della psicologia, dei moventi, dei fini, insomma delle ragioni del crimine.
Ognuno di questi elementi può essere ritrovato in un romanzo di Agatha Christie come in un’avventura di Philip Marlowe o di Smiley. Il giallo, il poliziesco (sua versione americana “indurita”) e il thriller hanno dunque elementi in comune coi noir di Ellroy.
Ma ciò che apparentemente li avvicina o addirittura unisce è in verità ciò che più radicalmente li separa e allontana. Il fatto di avere poliziotti come personaggi non basta a far rifluire i romanzi di Ellroy nell’alveo della narrativa hard-boiled e se anche esistono somiglianze fra Marlowe e Klein (o Bondurant), è la struttura stessa del romanzo a mostrarci la separazione.
È infatti la funzione che svolgono questi elementi a differire radicalmente. Nel giallo tradizionale (come pure nel poliziesco e nella spy story) esiste, come fulcro dell’azione e del racconto, l’indagine razionale. Il “caso” che viene investigato, ricostruito, analizzato e ricreato secondo le regole del pensiero causale e della concatenazione di eventi riconoscibili e spiegabili costituisce il senso stesso del romanzo giallo.
Tutto si basa quindi sulla chiarificazione di un enigma. Un enigma che ha carattere umano – implica cioè il calcolo di fattori psicologici, comportamentali, emotivi – ma in cui l’umano non è che la parte di un meccanismo eminentemente razionale. Lo schematismo di fondo del “romanzo d’indagine” (etichetta prêt-à-porter che ingloba tanto il giallo classico quanto il poliziesco e l’hard-boiled delle origini) è quello dello svelamento di un mistero, della risposta a un quesito, della spiegazione e del chiarimento.
Tutto il resto non è che contorno a questo meccanismo di base. Il lettore “giallo” ricerca la trama, l’intreccio ingegnoso e a effetto, la matassa che si dipani e risolva.
Ora, come si diceva sopra, questo è un elemento che può essere reperito anche nei romanzi citati di James Ellroy. Ci sono sbirri, ci sono criminali, ci sono indagini.
E allora perché Ellroy non è uno scrittore di polizieschi o di thriller? Che cosa lo distingue dal romanziere “d’indagine”?
Molto semplicemente, non si tratta più, nelle sue opere, di ricondurre la vita (il delitto, l’inspiegabile) a ragione. Non è la chiarificazione che interessa a Ellroy. I suoi personaggi vivono nelle pagine di American tabloid o di White jazz, hanno a che fare con crimini e criminali, e quindi con indagini a incastro e puzzle. Ma il romanzo non ruota intorno a questo.
Non è il meccanismo del giallo a reggere e guidare i racconti ellroyani. È invece lo scacco di questo stesso paradigma narrativo ad avere importanza centrale. I personaggi entrano ed escono dal loro ruolo di tutori dell’ordine, vivono e violano le regole che dovrebbero far rispettare. Sono al di qua (o al di là) della necessità “gialla” di ricondurre le cose a ragione.
Esiste l’indagine ma non è il vero motore dell’azione. Piuttosto un pretesto, uno schema funzionale al racconto, che si occupa di qualcos’altro. Sono infatti i personaggi stessi, il fine dei romanzi di Ellroy. Le loro vicende, i rovesci e le fortune (alterne) costituiscono il nerbo e il cuore della sua produzione.
Il noir s’insinua proprio a quest’altezza, fra le maglie del rigore raziocinante del giallo, che è spesso anche manicheismo letterario, semplificazione della sfera umana. Non così in Ellroy, dove c’è un enorme fascia grigia ad avviluppare ogni personaggio e ogni azione.
In questo modo diventa impossibile ricondurre il racconto a ricostruzione, a rompicapo d’ingegno e calcolo, ed è necessario spostare l’attenzione sul peso e il senso che acquisiscono gli atti e i fatti.
E proprio in questo, forse, sta l’essenza del noir. Nel servirsi di elementi “gialli” o “polizieschi” al fine di mettere in scena una storia che spezzi il meccanismo stesso dell’indagine e della prevedibilità lasciando apparire al loro posto la consistenza dei suoi personaggi e la loro irriducibile libertà.
Il passaggio dal romanzo hard-boiled, che ancora rispetta i canoni del giallo, a una narrativa autenticamente “altra”, che supera lo schema e la logica del whodunnit.
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