Seconda puntata delle (dis)avventure dell’avvocato fiscalista Rebecka Martinsson raccontate dalla penna della quarantenne scrittrice svedese Åsa Larsson: l’opera testimonia da un lato l’esistenza di un’incredibile fucina di talenti noir svedesi e dall’altro la tendenza comune di questi autori a uscir fuori dalle strette maglie della letteratura di genere per approdare al romanzo senza aggettivi.

A stretto rigor di logica la nostra intrepida e fragile Rebecka non è neppure un detective: i fatti delittuosi sembrano materializzarsi attorno a lei e a spingerla a risolverli anche quando, come in questo caso, tutto spingerebbe in altra direzione; è sicuramente più nella parte l’ispettrice di polizia Anna-Maria Mella che, pur gravata da un famiglia numerosa, un figlio appena arrivato e un marito non sempre premuroso nei lavori domestici, tuttavia si adopera per stanare l’ennesimo uccisore di pastori protestanti.

Sì, perché sarà un caso, ma anche questa volta, dalle parti di Kiruna, Circolo Polare Artico, qualcuno non ne può più di un intraprendente servo della chiesa, anzi, serva: Mildred Nilsson viene uccisa in modo barbaro e rituale in quanto donna e femminista, anticonvenzionale nelle scelte private e pubbliche, capace di imporre la sua ferrea volontà a un debole marito, a colleghi larvatamente maschilisti, a una comunità legata alle sue tradizioni più di quanto lo sia alla dignità dell’essere umano.

È chiaro quindi che, ancora una volta, l’omicidio è il raggio di luce gettato nel buio morale dell’autunno artico, che illumina le pieghe segrete di una comunità chiusa eppure disarticolata, in cui convivono tradizioni arcaiche (l’alcoolismo maschile, il rito della caccia, la violenza sulle donne) e spezzoni di modernità (gruppi di aiuto per donne in difficoltà, chiese che si affidano a fiscalisti, sessualità libera e talvolta anche disinibita): interessa relativamente sapere chi sia stato a chiudere per sempre la bocca a Mildred (e alla fine il movente non sarà una gran cosa) e anche, ammettiamolo, come andrà a finire la storia esemplare della lupa Zampe Gialle che la Larsson utilizza come controcanto della vicenda umana. Ci affascina invece lo studio degli animi, delle psicologie contorte, della violenza che scorre sotto la placida superficie della quotidianità come l’acqua sotto il sottile strato di ghiaccio in piena primavera.

E infatti arriviamo quasi a metà di questo Il sangue versato e ci domandiamo dove sia andata a finire la storia, il noir in senso stretto: seguiamo da vicino la fasi depressive di Rebecka che torna sui luoghi della sua infanzia e della sua precedente, terribile avventura (di cui forse si dice un po’ troppo al lettore che non l’avesse già letta); lottiamo con lei perché risalga la corrente e, con lei, riemerga la trama rossa del delitto; ci incantiamo a seguire le ingenue evoluzioni di Nalle, giovane robusto e disabile, che forse sembra l’unica persona veramente umana con cui Rebecka si rapporti; ci sorprendiamo a sperare che la storia continui, con questo apparente immobilismo che lentamente, come i ghiacci di primavera, scivola verso valle.

E ancora una volta il male sembra materializzarsi là dove Rebecka ha messo le sue piccole radici: e di nuovo la sua presenza fa da catalizzatore al crimine; ma indirizza anche la narrazione verso il suo sbocco naturale. Una soluzione però che lascia l’amaro in bocca se l’autrice, nella pagina dedicata ai ringraziamenti di rito, sente il bisogno di rassicurarci: sì, leggeremo ancora avventure di quest’avvocato del Profondo Nord che non sa riabituarsi alle ipocrisie della vita professionale di tutti i giorni.

E ha mantenuto la parola: Svart stig è uscito in patria nel 2006: non resta che aspettare l’appuntamento con Marsilio il prossimo anno…

 

Voto: 7