“Una lama che fende le tenebre.”

Così uno dei personaggi di La genesi del male definisce Kira von Durcheim.

Una buona definizione. Non basta, però.

Perché Kira è parte della tenebra.

La tenebra, come metafora storica e sociale, è la Germania nazista al cui servizio Kira diventa abile spia, catalizzata (sedotta?), nonostante talune le remore morali, dall’ideologia hitleriana, ma sopratutto dal fascino perverso dei suoi araldi, Rudolf Hess in primis.

La tenebra, come metafora individuale, è invece quella di un profilo psicologico complesso, ideato con molta attenzione. A partire dalla difficile infanzia, priva di riferimenti femminili. Per proseguire attraverso un percorso giovanile ancor più tormentato. Spesso dentro l’illecito.

Ma lasciamo all’autrice stessa il compito di descrivere la sua Kira von Durcheim, e spiegarci poi la genesi di questa nuova serie di Segretissimo.

Prima di darle la parola, ricordiamo brevemente che Claudia Salvatori è una delle più apprezzate scrittici italiane, oltre che sceneggiatrice per fumetti (Lanciostory, Intrepido, Skorpio, testate Disney, Gordon Link, Nick Raider, Julia) e cinema, e consulente editoriale. Narrativamente, esordisce professionalmente nel 1985, vincendo il Premio Tedeschi con Più tardi da Amelia (Mondadori). Fanno seguito Columbus day, Mistero a Castel Rundagg e Schiavo e padrona, da cui viene tratto il film Amorestremo. Altri suoi titoli sono Superman non muore mai, La canzone di Iolanda, Sublime anima di donna (premio Scerbanenco 2001), Il sorriso di Anthony Perkins, La donna senza testa, Nessuno piange per il diavolo. Suo anche il romanzo biografico Ildegarda: badessa, visionaria, esorcista (Mondadori) e il recente Fairy, in Sexy Thriller (Aliberti, collana due thriller per due autori).

 

Ciao Claudia, ben ritrovata.

Ciao Fabio e Stefano (in ordine alfabetico). Avremo molte altre occasioni per ritrovarci.

 

Kira von Durcheim, la Walkiria Nera. Presenta il tuo personaggio ai lettori.

Credo che i lettori abbiano già scoperto le sue qualità immediatamente visibili: bellezza, glamour da diva del cinema, libertà sessuale. Le qualità che di lei contano per me sono l’onestà, la lealtà e il coraggio. Ho voluto creare (forse per la prima volta, dopo anni di promiscuità con personaggi minimi in una vita minima) una vera eroina. Vale a dire, una finzione reificata, o l’impossibile credibile. E’ stato un processo piuttosto travagliato, uno dei lavori più difficili che abbia mai affrontato nella mia carriera, e non solo perché ho dovuto adattarmi al format di Segretissimo (e adattare il format a me). Kira è una donna che si comporta eroicamente sempre, che è grande sempre. Non abbiamo più tradizioni e modelli per costruire la grandezza, l’eroismo. Come sente, come pensa un eroe? Che cosa lo fa quello che è?

La saga di Kira inizia negli anni 30. Già una novità rispetto alle spy-story belliche con eroine tedesche come le protagoniste dei romanzi di Daniel Silva (La spia improbabile) e John Altman (Gioco di spie), ma le differenze non finiscono qui. C’è in “La genesi del male” un maggior senso della storia, un’evidente  capacità di calare avvenimenti e personaggi in un contesto storico preciso. In particolare si nota un’attenzione per il cinema tedesco e altri aspetti… diciamo più “culturalmente  approfonditi” rispetto alle solite storie di spionaggio bellico. Vuoi parlarci di questi tuoi interessi e del ruolo che hanno giocato nella creazione della vicenda?

Le suggestioni culturali all’origine di Kira vengono (lo sapete, lo avrete già indovinato) da molto lontano, da quando eravamo ragazzi, dai film di Visconti e Cavani, ma anche dai personaggi sadomaso dei milioni di fumetti che abbiamo ingurgitato all’epoca. Nella mia formazione sono confluiti materiali classici della cultura umanistica e materiali della fiction popolare, anche la più “sporca” e “bassa”. Così sono diventata una scrittrice che rispecchia questa doppia dimensione (o identità), e ne ho pagato il prezzo: troppo colta per l’editoria a fumetti, troppo popolare per l’editoria “alta”.

Ma poiché non mi sono mai rassegnata alla frattura fra narrativa “letteraria” e narrativa “commerciale”, e alla frattura all’interno della mia professionalità, e cerco un’unione, una sintesi, ecco questa Kira: eroina da fumetto in un contesto storico più preciso, con riferimenti alle lotte intestine dello NSDAP e citazioni dal cinema tedesco, apparizioni da guest star di personaggi come Fritz Lang, Joseph von Sternberg, eccetera. E’ come se non volessi rassegnarmi a lasciare la cultura esclusivamente nelle mani di accademie e strutture editoriali snob.

In particolare sembra di vedere in Kira qualcosa di Leni Riefenstahl, giusto? 

Kira è stata generata in massima parte, più che da altre fonti, dalla lettura delle Memorie di Leni (uscite con il titolo italiano Stretta nel tempo, Bompiani). Quello che più mi ha colpita in Leni Riefenstahl è la sua innocenza. Riflette il punto di vista di una persona che ha vissuto il nazismo dall’inizio e dall’interno, perciò… senza preconcetti. E’ bizzarro e scabroso da dirsi, me ne rendo conto, eppure è così. Le sue prese di distanza dal nazismo non convincono molto, sembrano artefatte e dettate dalla necessità, eppure proprio per questo si svela, nella narrazione nostalgica del vissuto, una specie di naturalezza, di ingenuità. Ci presenta la tenebra come un luogo normale, possibile. E un altro aspetto che mi affascina nella vicenda di Leni è la sua assoluta felicità nel nazismo, l’aver potuto raggiungere una realizzazione da donna libera (e per di più ammirata e rispettata) che le sarebbe stata negata all’interno dei regimi democratici del suo tempo. 

Per te, narratrice già affermata non solo nel campo del thriller come è nata l’idea di scrivere una spy-story? E come ti rapporti al genere?

L’idea di base era coniugare la spy story al romanzo storico. Ho preso in considerazione vari periodi storici: antico Egitto, sei-settecento (filone tre moschettieri-primula rossa-cappa e spada)… infine si è imposta la walkiria wagneriana. Qualcuno ha citato Ilse la belva delle SS ma, ahimè, mi sono perso questo film. E’ una grave carenza nella mia formazione. Dico davvero. Affrontare la spy story è stata una dura prova, un importante momento di crescita. Nel thriller carichiamo alcuni personaggi di valenze simboliche riferite a fondamentali problemi umani. Nella spy story ci sono gli individui che giocano fra loro lo psicodramma, ma ci sono anche le collettività, le nazioni, le organizzazioni (istituzionali o segrete) che riproducono lo psicodramma all’ennesima potenza. Vale a dire, per chi scrive, una moltiplicazione degli spessori narrativi, un problema geometrico più complesso perché occorre inscrivere le figure le une dentro le altre.  

Come collochi Kira rispetto ad altri personaggi non solo della collana ma anche del filone che non è certo avaro di narratrici ed eroine? In poche parole, cosa hai portato di nuovo?

Non volevo competere con colleghi che praticano questo genere da anni; ho solo cercato di risolvere un problema: come adattare le mie risorse alla collana Segretissimo. La spy story mi intimidiva e l’ho affrontata con una certa umiltà. Sul serio, non è piaggeria (se tutti gli “autori” italiani si accostassero umilmente ai generi, andrebbe già tutto molto meglio). Perciò non porto nulla di nuovo, a parte il mio peculiare sguardo sul mondo e i messaggi subliminali presenti in tutto il resto della mia produzione. E anche la mia duplicità maschile/femminile. Non credo che personaggi maschili credibili possano essere proposti solo da uomini, e lo stesso per i personaggi femminili. L’immaginario, la scrittura, esistono proprio per permetterci quello che non può riuscire nella vita sociale reale: un punto di vista molteplice nell’uno. 

Prossimamente, Kira andrà a giocarsi le simpatie filo naziste nel cuore reale della Gran Bretagna, isn’it?

Fra poco (il mese prossimo per me, nel 1935 come tempo narrativo) Kira andrà in Gran Bretagna per cercare di imbastire un’alleanza anglo-tedesca nazista, e attirare dalla sua parte T.E. Lawrence, il famoso Lawrence d’Arabia. 

Le avventure di Kira proseguiranno anche durante la Seconda guerra mondiale?

Arriveranno, se tutto procede, sicuramente fino al 1941, anno in cui il suo mago-maestro Rudolf Hess compirà la sua missione in Inghilterra e verrà catturato. A partire da questa data, passerà attraverso  prese di coscienza e grandi crisi personali. 

Nel romanzo, una frase semplice, ma non buttata là a caso, e pertanto ben visibile, ci fa capire non solo che Kira sopravvivrà al conflitto, ma anche che avrà modo di rammaricarsi della fascinazione subita dalla “tenebra” (non uso il termine Male, perché suona troppo manicheo e poco consono ai risvolti psicologici dei tuoi personaggi di fantasia, oltre che di quelli storici da te ripresi). Stante l’invidiabile capacità di interpretare e coinvolgere il lettore in questo percorso oscuro di Kira, e la conseguente prospettiva interna, è questo un modo per garantirti una dichiarazione di distanza dall’ideologia nazista e dai suoi orrori?

Kira è un personaggio che, nelle mie intenzioni (trasparenza, purezza, ma anche ambiguità), può sopravvivere a tutto. Mi chiedete se voglio garantirmi una presa di distanza dall’ideologia nazista e dai suoi orrori? Domanda maliziosa. Prendo le distanze  da ogni tipo di orrore, praticato da qualsiasi regime. In quanto all’ideologia nazista, è facile e gratuito, e soprattutto per nulla rischioso, prendere le distanze. Mi spiego meglio. Siamo cresciuti in una cultura che ci dà l’antifascismo come una vaccinazione; fin dalle elementari sentiamo dire che AH, QUALE FOLLIA SONO STATI I DUE CONFLITTI MONDIALI, MA ORA L’UMANITA’ HA COMPRESO LA LEZIONE E MAI, MAI, MAI RIPETERA’ TALE ERRORE. Perciò possiamo essere comodamente antifascisti oggi, ma allora? Chi può veramente garantire quello che avrebbe pensato e sentito a vent’anni nel 1932? D’altra parte abbiamo una produzione fiction e non fiction che, pur condannando il nazismo, ce lo fa godere, alla maniera in cui godiamo la cronaca nera e i serial killer letterari. Avete visto quello che è passato in televisione negli ultimi anni? Regie, testi e musica sapienti, avvolgenti, che premono forte il pedale del mistero, della fascinazione, della seduzione. Una persona un po’ sempliciotta, con scarso senso della realtà, può vedere un filmato (di esplicita condanna) su Hitler e ritrovarsi il giorno dopo con un’aquila tatuata sull’ombelico. Allora azzardo un’ipotesi un po’ provocatoria: è molto probabile che, vedendo le cose nella luce grigia della cruda realtà quotidiana, a vent’anni nel 1932, ne avrei colto il lato cialtrone, insipiente, potenzialmente criminale. Attualmente il nazismo sta fra lo scongiuro politicamente corretto e la fiction thriller orrorifica… mi sembra che sia la nostra stessa cultura, demonizzandolo, a “nobilitarlo”, a renderlo attraente. Perché ci piace leggere e scrivere di assassini seriali e/o di nazisti? L’immaginario non è forse il luogo della sintesi di tutte le contraddizioni, in cui le pulsioni si scatenano e negano nello stesso tempo? Raccolgo la sfida e ci gioco fino all’estremo: creare un personaggio onesto, retto, con un forte senso della giustizia, che abbia ragione sbagliando. 

La Berlino anni 30 era già presente in Nessuno piange per il diavolo (Hobby & Work). Parlaci un po’ delle tue fonti. Perché hai scelto proprio questo periodo storico e secondo quali direttrici lo hai visualizzato sulla pagina?

Le motivazioni le ho illustrate sopra: sfida, voglia di mettere le mani su quello che è rimasto uno degli nostri ultimi tabù (solo per questo dovremmo tenercelo caro!).

Leni Riefenstahl
Leni Riefenstahl
Le fonti: Leni Riefenstahl (irritante e irresistibile, ma un fenomeno), il cinema e la danza tedeschi dell’epoca. Quel tanto di morbosità erotica da cabaret berlinese che ci piace tanto (inutile negarlo).  Mi attira anche, sempre nell’immaginario, l’omosessualità maschile di stampo militare di un certo nazismo, come di altri regimi autoritari e ipervirili. Nessuno piange per il diavolo era un’altra operazione letteraria, con due livelli temporali: il protagonista del passato era un ballerino tedesco vinto e travolto dagli eventi.  

Come di consueto il tuo stile narrativo ha un impatto molto letterario. In particolare colpisce  l’uso del tempo presente che, almeno in questo genere, è abbastanza raro.

C’è una ragione particolare  per questa scelta formale?

Sì, c’è una ragione particolare. L’uso del presente in un romanzo storico presentifica gli avvenimenti. E’ come dire: sta accadendo adesso. Mi piace questo sfasamento temporale che annulla la distanza fra le epoche storiche. Come avere una macchina del tempo virtuale che permetta di vivere in un un’unica Storia. 

La spy story, e parenti stretti, per il suo intrinseco legame alla realtà e alla geopolitica, pur nel rispetto dei dettami fiction, è un genere con grandi potenzialità. Soprattutto in chiave di attualità. Di affari sporchi, legati al mondo delle intelligence o dei poteri più o meno segreti, ce ne sono. La Guerra Fredda ha chiuso solo un ciclo, un settore.

Oh, sì. Grandissime potenzialità. Vi avevo accennato brevemente alla mia ammirazione per il romanzo di Le Carrè Amici assoluti. Un perfetto paradigma del percorso esistenziale e dell’autoinganno della nostra generazione, che non smette neppure per un secondo di essere una spy story. L’evocazione degli anni ’70 è lancinante. Non ho trovato niente del genere nella produzione “alta”, per esempio nel film di Bertolucci sul ’68. Del resto solo la fiction “commerciale” ormai dice le cose che vanno dette. Gli scrittori di spy story raccontano gli affari sporchi, quelli veri, quelli nascosti. Cioè, quelli che esploderanno nella loro evidenza solo quando sarà troppo tardi.

Progetti in corso?

Uno già realizzato: La donna che gioca con i gatti, per Morganti editore, che sarà presentato prossimamente a Torino. Poi Kira 2, e forse un’incursione nell’horror.

Salutiamo Claudia con un caloroso abbraccio, orgogliosi di poter contare su di lei nella squadra di Segretissimo. Alla prossima!

L’orgoglio è mio, per avercela fatta. Ricambio l’abbraccio!

NB: questa intervista viene proposta in collaborazione con il sito www.ivedovineri.it