Ravi Shankar Etteth: autore indiano quarantasettenne, giornalista e vignettista di “India Today”, esordiente in Italia con il suo secondo (e per ora ultimo) noir.

Barbera: editore nato nei primi mesi del 2005 con un catalogo di tutto rispetto che spazia dai classici greci e latini alla fiction di ispirazione scientifica ai noir, appunto.

Da questa combinazione editoriale per ora favorevole nasce questa proposta che sin dall’inizio spiazza anche il lettore più smaliziato.

La vicenda di Il male si apre infatti con un classico delitto della camera chiusa, consumato nell’ambasciata del Madagascar a Delhi. I detective chiamati a risolvere l’enigma della morte di un funzionario assai importante, nonché dalla vita sessuale abbastanza movimentata, sono due: Jay Samorin, amico dell’ambasciatore Tsiranana, ex vignettista, studioso del male (così si autodefinisce in modo peraltro un po’ troppo enfatico, alla Poirot), dal passato familiare abbastanza turbolento (la madre fu trovata con un amante e uccisa dal padre poi giustiziato); e Anna Khan, vicecommissario reduce dal Kashmir dove ha perduto il suo compagno Irfan, vittima dei terroristi islamici che in seguito lei ha combattuto impavidamente ma anche spietatamente, macchiandosi spesso di esecuzioni dirette e sommarie.

Ben presto la collaborazione, alquanto difficoltosa all’inizio, dà i suoi frutti; il colpevole viene scoperto così come l’ingegnoso metodo che ha usato per uccidere: la tela di un quadro piegata a imbuto e riempita d’acqua fatta poi congelare per formare un acuminato pugnale. Ma siamo solo a p. 75 e mancano ben 200 pagine alla fine…

Si passa così a una fase interlocutoria in cui Samorin e Anna si frequentano un po’ di più senza che all’orizzonte si mostri un’altra indagine: nel frattempo sono frequenti i flash-back che ricostruiscono il passato dei due e intrigante è l’entrata in scena del famoso pittore Dhiren Das che è legato a Samorin da qualche oscuro avvenimento sepolto nel loro passato.

Ed è a questo punto che giunge una richiesta d’aiuto da parte di Anna: sua cognata Salma, peraltro amica del pittore, vede morire a poco a poco la madre, vittima di un inquietante medico che vanta anch’egli l’amicizia con il misterioso Das. Ci vuol poco a trasformare un’indagine di routine in una discesa agli inferi per i due detective sempre più affiatati: per Samorin, poi, si tratta di far luce anche sul proprio passato con un clamoroso colpo di scena finale (che naturalmente non riveleremo) che permette di sollevare tutti i veli sul suo passato.

Che dire del romanzo?

Certo, c’è l’indubbio fascino di una narrazione che ci svela un’India moderna, con la sua ricca borghesia e i suoi quartieri residenziali, che però non ha cancellato la dolorosa eredità del passato: la guerra indo-pakistana, complicata dal terrorismo islamico; e il barbaro destino delle vedove di condizione disagiata che tradizione e cultura mettono ai margini della società alla stregua di prostitute.

Ma c’è anche il fascino asimmetrico dell’intreccio con il falso bersaglio del delitto iniziale, che sembra indirizzare la narrazione verso il giallo classico Anni Trenta, la pausa romanzesca centrale, che delinea i due protagonisti e la loro complessa psicologia, e la resa dei conti finale, che magari indulge a qualche trovata da romanzo d’appendice ottocentesco.

Tutto sommato quindi una prova dignitosa, un esordio positivo, almeno tre personaggi (Samorin, Anna e Dhriren Das) non facilmente dimenticabili (anche se purtroppo non è previsto un loro riutilizzo a breve scadenza): visto quello che talvolta capita nelle nostre librerie non possiamo lamentarci. 

 

Voto: 7