Catch me if you can sembra dire Zampa di giaguaro (ma è più bello Jaguar Paw…) ai suoi feroci inseguitori che si arresteranno, oramai decimati, solo di fronte allo stupore ottico generato dallo sbarco dell’uomo bianco (e spagnolo) sulla spiaggia dove il lungo inseguimento che ha occupato gran parte del secondo tempo pare avviarsi alla conclusione.

Prima, prima della fuga con relativo inseguimento quindi di questo chiacchieratissimo Apocalypto (opera tre di Mel Gibson ma per alcuni opera due come efferatezza dopo The Passion…), si assiste nell’ordine: a una battuta di caccia nella foresta, a squarci di vita quotidiana nel villaggio di Jaguar Paw, alla feroce incursione dei membri di una tribù rivale allo scopo di procacciarsi schiavi per sacrifici umani, al viaggio di trasferimento dei rapiti verso il villaggio dei rapitori, al sacrificio di due (se la memoria non inganna…) dei rapiti.

Va sottolineato che proprio il punto clou del film, quello del sacrificio quindi, lo stesso che ha fatto alzare vibrate proteste per un presunto, intollerabile, tasso di violenza, risulta a conti fatti quello meno sovraesposto sul piano della violenza fisica, vuoi per il corpo del sacerdote che copre la lama che cala sulla vittima, vuoi per le riprese a distanza, vuoi infine per la posizione del corpo del sacrificando nel fuori campo “sotto”, il che, unito al resto, fa di Apocalypto un film molto meno feroce e violento di quel che si vocifera (e allora Il labirinto del fauno?).

Ha piuttosto il pregio di essere un film sufficientemente onesto da non indugiare più dello stretto necessario su scene a tratti crude, certo, senza mostrare il benché minimo compiacimento. Va inoltre riconosciuto a Gibson di non giocare a fare l’Autore a tutti i costi, la sua non trascurabile qualità di saper aprire nella narrazione squarci inaspettati, come quella che vede i bambini rimasti senza genitori seguire per un lungo tratto la processione dei deportati, e altrettanto il saper evitare la retorica (sempre in agguato…) della “nuova vita che nasce” (vedi il parto sott’acqua…).

Certo, il genere fuga e inseguimento con l’aggiunta del last minute rescue, perché fondamentalmente è questo di cui Apocalypto si nutre, non sono cosa di adesso, per cui va da sé che il film in buona sostanza somiglia a tanti altri precedenti (come non pensare a Papillon? Come non pensare a Conan il barbaro quando vediamo all’opera la micidiale trappola infilzante?), eppure anche in questo caso, grazie agli inevitabili artifici tecnici (una innovativa cinepresa digitale che risponde al nome di Super 35 Digital Cinematography Camera System Panavision Genesis usata per la prima volta in Superman Returns), le lunghissime e ultraveloci carrellate nel bel mezzo della giungla conferiscono alla seconda parte del film quella continua ipercinesia che incolla l’occhio allo schermo senza stancare mai.