Istruzioni per l'uso: La natura particolare della rubrica, interessata all’esplorazione più che alla suggestione, ne determinerà un taglio volutamente esplicito nei confronti delle trame parallele, di cui spesso verranno rivelate sequenze chiave anche a scapito di coloro che non conoscono ancora le pellicole in questione
Il remake è una strana creatura; vampirizza l’originale mostrandone alcune angolazioni diverse, magari suggerendo che la storia poteva essere sviluppata, cucita e ampliata diversamente o con uno spirito diverso. Non necessariamente meglio o peggio, ma semplicemente con una sensibilità differente, più vicina al mondo interiore del regista o ai canoni culturali di una data nazione.
Una profonda cesura culturale è l’esatto metro della distanza che separa il giapponese Ringu, originale del 1998 girato da Hideo Nakata, dalla sua “copia” americana The Ring, filmata nel 2003 da Gore Verbinski. Accecati dallo sfruttamento commerciale di un film diventato fenomeno in patria, gli americani hanno virato le premesse e il contesto di riferimento della pellicola giapponese per realizzare una versione che, se apparentemente simile nella sequenza iniziale, apporta delle sostanziali modifiche alla storia rendendola inequivocabilmente “americana”. La cesura fra Ringu e The Ring, però, non va necessariamente a discapito del secondo, se se ne riconoscono gli accomodamenti culturali e non si pretende una pedissequa ripetizione dell’originale. Ciascuno dei due film funziona in realtà come spia di una certa essenza culturale della rispettiva nazione di riferimento.
Colpito da un successo inaspettato in patria, Ringu s’inserisce all’interno di un sostrato ben preciso che fa riferimento alla religione shintoista precedente all’avvento del Buddhismo e paragonabile in Occidente alla religione pagana antecedente al Cristianesimo. Nello shintoismo, che nessuna religione successiva è riuscito ad assorbire o eliminare fino in fondo, i fantasmi occupano un ruolo preminente, in quanto esseri legati al concetto di trasformazione e alterazione. Come spiega dettagliatamente Mattia Verlicchi nella sua introduzione al dossier speciale Nocturno “L’occhio nel Pozzo. Storie di Fantasmi Giapponesi”, in Giappone i fantasmi sono racchiusi in determinate categorie, fra le quali spicca quella dello Yuurei, “incatenato al mondo dei vivi e rianimato dal rancore” perché perito di morte violenta. “Vincolato al luogo dove ha trovato la morte”, lo Yuurei ha come scopo quello di portare a compimento la vendetta che non è riuscito a completare in vita. L’aspetto tipico di questo spirito prevede una veste bianca, simbolo forse del regno dei morti (il bianco in Oriente è infatti il colore tradizionalmente associato alla morte). La figura maledetta del film, la giovane Sadako vestita di bianco perita di morte violenta e tornata nel regno dei vivi per vendicarsi, s’inserisce a pieno nel solco di questa tradizione shintoista. In particolare, Sadako riecheggia la variante donna dello Yuurei, lo spirito vendicativo di Oiwa. Tale figura entra a far parte dell’immaginario artistico, oltreché culturale e religioso, del paese con l’avvento del teatro Kabuki (1600–1687), dove Oiwa viene raffigurata come donna con un occhio cieco e l’altro rivolto verso l’alto.
Il cinema è un occhio di per sé, una telecamera che circonda la realtà per assediarla, plasmarla e ricrearla a suo piacimento con tenacia, ossessione e trasgressione. In un’epoca come la nostra, fondata sulla scopofilia e sul primato dell’immagine, non pochi sono i film che cercano di riflettere sulle implicazioni dell’invasività delle immagini nella nostra vita e nella nostra psiche, e Ringu è proprio uno fra questi. La storia è molto semplice di riassumere: due ragazze conversano su una leggendaria cassetta vhs che provoca la morte in coloro che la guardano esattamente dopo sette giorni, come annuncia una voce per telefono. Sembrerebbe uno stupido e volgare scherzo da adolescenti, eppure una delle due ragazze muore sul serio. Incuriosita dall’accaduto, soprattutto perché suo figlio era molto legato alla ragazza deceduta, la giornalista Reiko (Nanako Matsushima) decide di far luce sulla vicenda, finendo per recarsi a Izu, da dove pare sia partita la leggenda della cassetta misteriosa. Non soltanto la donna trova la cassetta e la vede, ricevendo la consueta telefonata di avvertimento; rivoltasi all’ex marito Ruychi in quanto sensitivo, Reiko compie ulteriori ricerche grazie ai suggerimenti di quest’ultimo. Il video inserito nella cassetta è redatto in un idioma che sembrerebbe sconosciuto ma che presenta tuttavia tracce del dialetto dell’isola di Oshima.
Il remake americano, che ricalca in gran parte la storia originaria trasportandola in Nova Scotia e attribuendo nuovi nomi alle protagoniste – la giornalista diventa Rachel (Naomi Watts), lo spettro armato di vendetta Samara – tradisce in realtà le premesse dell’originale giapponese facendo svaporare il misterioso fascino dell’elemento arcano attraverso una serie di dettagli che, se sommati, rivelano una matrice culturale completamente diversa rispetto al film di Nakata.
I film Ringu e The Ring, con annessi sequel e collectors’ edition, sono reperibili sul sito dvd.it:
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