È possibile sedurre una donna, con il magnetismo dei calcoli matematici? Per esempio, costruendo quadrati magici di dimensioni spropositate o normalizzando il voltaggio complessivo delle lampadine accese nell’appartamento della dama, mentre costei siede sul letto e guarda l’orologio?
Forse sì, se il fascino della simmetria e della computazione numerica si uniscono a una marcata “discontinuità” di carattere e abitudini di vita.
Ironia, dolcezza e brividi “matematici” sono i fattori di Un cuore timido, seconda prova narrativa di Steve Martin, talento versatile ed estroso del grande schermo (La pantera rosa, Il padre della sposa 1 e 2). Un romanzo estroso, brillante e divertente, dal tono quasi picaresco; in cui ogni momento è ripartito in quarti, poi ottavi e via dicendo, per comprendere se ogni frazione di comportamento sia conseguenza di quella che la precede. E scoprire, tra convoluzioni linguistiche, marce gladiatorie, incidenti etilitici, barometri emotivi altalenanti, che l’amore è come serie armonica: se la ragione è minore di uno, in modulo, allora converge.
Tutto comincia con un errore di trascrizione, nel risultato del test per valutare il quoziente intellettivo. La qual cosa significa per Daniel Pecan Cambridge, aspirante “Club Mensa”, la società internazionale dei geni, sprofondare dalla categoria “genio” alla gabbia di “temperamatite”.
Daniel Pecan (come le noci pecan, coltivate dalla nonna nel sud del Texas) è un personaggio bizzarro: ha trent’anni, vive da solo in una bella casa di Santa Monica e la sua esistenza è scandita dagli orari di apertura dei negozi e delimitata dal quadrato del quartiere. Per lui, infatti, il mondo è regolato da leggi simmetriche e inviolabili: per esempio, che cosa c’è di più minaccioso e illogico del cordolo di una strada? Le strisce pedonali sono una cosa ragionevole ma sovrastate dalla minacce gemelle di due cordoli imponenti, da ambo i lati, finiscono per trovarsi sul fondo della fossa delle Marianne. Oltre a non attraversare mai la strada, a meno che il marciapiedi non presenti una discesa, Daniel può vivere solo in una casa in cui siano accese lampadine, per una potenza complessiva esatta di 1125 watt. E, in piena illuminazione artificiale, egli studia le simmetrie del soffitto, ripartendolo in due o tre sezioni, che danno vita a triangoli e parallelogrammi, combinati nella sua mente come la glassa della torta di compleanno dell’intonaco. Il bello della mente umana, infatti, è avere spazio in abbondanza per i grandi numeri: e, visto che qualsiasi cosa, superficie o oggetto, è divisibile all’infinito, il problema non è cominciare a contare, ma sapere, in tempo, quando smettere. Per Daniel, il vero scopo delle giornata è computare punti e rettificare variabili. Tuttavia, la sua passione segreta è rappresentata dai quadrati magici: matrici costituite da sedici, venticinque, quarantanove, o perfino duecentocinquantasei riquadri tutti vuoti, tutti in attesa di un numero specifico: numeri che producano una somma identica, che li si addizioni in orizzontale o in verticale. Un gioco che placa anche il più ansioso dei nevrotici. E che dilettava anche Benjamin Franklin e Albrecht Duerer (con la famosa incisione Melancholia del 1514,
che presenta un quadrato magico di dimensione 4x4).
Pochi sono i pretendenti di un cuore timido. E Daniel è segretamente innamorato di tre donne: ognuna all’oscuro della di lui esistenza. Daniel le osserva, le scruta ma è troppo insicuro per rivelarsi. Si confida con la nonna lontana, che gli scrive assiduamente fino alla morte: evento che segna una discontinuità nell’esistenza del nipote e lo spinge a scoprire che egli stesso può aiutare chi ha bisogno, come la strizza-cervelli Clarissa, della quale, a sua volta, si innamora, a dispetto del nome non anagrammabile.
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