In nomen omen, dicevano i latini, ossia "nel nome c'è un destino". Il nome di una persona può costituire insomma un indizio per intravedere quali saranno il suo fato e le sue inclinazioni. Che dire allora della piccola Plectrude? La sua è un'esistenza straordinaria fin da prima di nascere. Viene infatti al mondo già orfana, perché la madre ha deciso un bel giorno di svuotare l'intero caricatore di una pistola addosso al marito. Nasce in prigione e poco dopo la madre decide di suicidarsi: due fatti di sangue che segneranno indelebilmente la vita di questa bambina.
Plectrude viene allevata da una zia che riversa su di lei dosi sconsiderate di amore e di attenzione. E già dai quattro anni si intuisce una cosa: questa bambina ha un grande futuro di danzatrice davanti a sé. E' così che alle scarpette e alla sbarra viene sacrificato tutto il resto: la scuola, le relazioni, perfino la salute stessa. Non è facile per una bambina sopportare tutte queste privazioni senza perdersi irrimediabilmente d'animo. Ma Plectrude, lo abbiamo già detto, non è una bambina qualunque. La sua bellezza è quasi imbarazzante, la sua volontà tenace, i suoi propositi irrinunciabili: è fatta per ballare e ballerà.
Il destino gioca nuovamente i suoi scherzi quando un disgraziato incidente le impedirà per sempre di ballare; ma non tutto sarà perduto. Plectrude scoprirà che la propria storia rischia di chiudersi su se stessa come in un circolo, seguendo passo passo le orme della madre. Solo un amore a lungo atteso e altrettanto a lungo insperato potranno, forse, salvarla dal fato inscritto nel suo nome così strano.
Dizionario dei nomi propri è una favola noir dell'autrice belga Amélie Nothomb in cui si respira per tutta la lettura del libro un senso di ineluttabilità e tragedia, anche se punteggiato da uno stile lieve e ironico come, per l'appunto, quello delle fiabe. La protagonista è assolutamente incredibile per la straordinarietà della sua vita e, al tempo stesso, completamente credibile nelle sue reazioni, descritte con dovizia di particolari dall'interno della sua mente man mano che la bambina cresce e diventa donna. Si intuisce, tipico della Nothomb, un disagio esistenziale personale dietro alle vicende del libro, che portano a un finale (letteralmente) autodistruttivo. Non completamente all'altezza del libro le ultimissime due pagine (la quarta di copertina recita "finale assolutamente inatteso, in puro stile Nothomb"), che comunque non inficiano la lettura di quello che rimane un romanzo da leggere d'un fiato. Un'ottima prova, insomma, per questa autrice che occhieggia sinistramente dai risguardi di copertina e che, anche ora che gode di una certa popolarità in Italia, ha deciso di continuare a proporre i suoi libri nel nostro paese tramite la casa editrice Voland.
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