Non so quali siano le pure che minano lo scrittore come categoria. Posso dire le mie. La peggiore in assoluto è l'indifferenza, mia e degli altri. E non ci sono esorcismi. E' un rischio perenne, perché a lasciarsi esposti alle emozioni si rischia parecchio, e si soffre. Dopo, per puro istinto di sopravvivenza, si impara una sorta di anestesia, che non sempre si è in grado di dosare. E non ci sono esorcismi, se non, per quel che mi concerne, fare molta attenzione a non perdere quella cosa rara che hanno i bambini e che gli adulti smarriscono, ovvero la sapienza del cuore. Io cerco di proteggerla, la mia. Il che vuol dire, in qualche misura, un perenne complesso di Peter Pan.
Il mio rapporto col cibo è ottimo. Mi piace mangiare, adoro le cose dolci, non potrei fare a meno del cioccolato, che ha anche una consistente funzione consolatoria. Proprio perchè adoro il cibo, non mi piace mangiare di sfuggita: sedersi a tavola è un rito, preferibilmente sociale; è una strategia di contatto col mondo e una dichiarazione di quel che si è e della cultura cui si appartiene. Ed è anche un gran bel modo di entrare a contatto con l'altro, sperimentandone i gusti e i sapori. Dunque, in cucina, sono anche curiosa e mi piace assaggiare quel che non ho mai provato, assaporare gusti nuovi. Però non cucino, non è uno dei miei (pochi) talenti; poichè sono abbastanza umile da riconoscerlo, lascio senza problemi che cucinino per me, e sono molto grata a chi lo fa. E non mangio carne. E' cominciata come un'intolleranza, ma ormai penso che vada bene così.
Ammetto di non far molto caso a quel che mi metto addosso. L'abbigliamento ha uno scopo funzionale più che estetico, per ciò che mi concerne. Il risultato è che spesso son vestita in modo inadeguato, e molto spesso sono infagottata. Mi piacciono il nero e il bianco, ma sono goffa e pasticciona, dunque il bianco si macchia in fretta di tutti i colori. Il nero è più semplice. Il che non vuole affatto dire che non curi il mio corpo. Mi piace, il corpo che ho, e necessita di coccole. Non amo i bagni, se non al mare, ma adoro star sotto la doccia. E' un relax necessario. L'acqua si porta via dolori e pensieri. E lascia solo quello che deve restare.
Cammino molto, vado molto in bicicletta, osservo molto. Mi piace vedere i colori che cambiano, sebbene Milano finisca per essere di un grigio pressochè uniforme. Per questo mi manca enormemente il mare, dove sono nata. Il mare vuol dire vento, che a Milano non c'è. E il vento ha lo stesso effetto di doccia e pioggia: porta via quello di cui, nella stasi, non riesci a liberarti.
La scrittura è un atto di libertà. E un atto conclusivo. Nel senso che c'è un percorso infinito che comincia molto prima che una storia venga scritta. E', per me, un processo inafferrabile e strano, che non voglio gestire, perchè è necessario che sia quanto più libero possibile. Dunque, non ho ritualità particolari, e non nutro un particolare affetto per la scrittura su computer. Nel senso: non è esclusiva. Uso carta e penna quando non ho un computer a portata di mano, riempio foglietti e giornali e volantini. Poi perdo quasi tutto, ma l'annotazione che ho scritto resta nella testa e sedimenta pian piano. Alla fine, solo alla fine, comincia la storia da scrivere.
Non ho mai provato il famoso terrore della pagina bianca. No. Devo dire, no. Per non più di cinque minuti, le poche volte che è accaduto. E comunque non nella scrittura narrativa. Il che non vuol dire che tutto quello che scrivo sia buono. E' sicuramente mio. Scrivere è come pensare: un atto involontario che pian piano si costruisce in un percorso strutturato.
Con le scadenze dettate da contratti editoriali ho un ruolo minaccioso, nel senso che di regola non ci sto dentro. E tuttavia sono necessarie, altrimenti non deciderei mai di fare ordine in quel che mi accade nella testa. Il tempo per scrivere è la sera, o in vacanza. Ho un lavoro vero (insegnare) che mi piace e mi prende molto. Ma quando c'è qualcosa che dev'esser scritto, il tempo lo trovo.
Se ho qualche rituale? Solo rituali temporanei. Ora, per esempio, mi tocca viaggiare molto in metrò, e Milano è infestata di quotidiani gratuiti, distribuiti, appunto, in metrò. Allora il rituale d'inizio giornata è l'analisi comparativa degli oroscopi, nel tragitto che mi porta al lavoro. Non credo all'oroscopo. Mi diverte però che ci sia qualcuno che prova a indovinare - con gradi variabili di professionalità - quel che ti succederà durante il giorno. Poi verifico l'attendibilità della previsione. Tendenzialmente, nei rapporti con le persone, manifesto eccessi di disponibilità, che a volte producono colossali malintesi. Intuitivamente, parto dal presupposto che le persone siano animate da buone intenzioni, il che non corrisponde sempre a verità. ma si costruiscono amicizie importanti in questo modo, e questo mi basta. Il più delle volte. Non mi piacciono i negozi pieni, le feste affollate, le occasioni sociali e i party: tutte situazioni dalle quali se posso fuggo. E se non posso faccio tappezzeria, drappeggiandomi elegantemente lungo una parete. Però sono una persona che sa ascoltare. Almeno credo. Le persone si raccontano facilmente con me, dunque devo essere una buona ascoltatrice.
Ho avuto una nonna, importantissima. La nonna delle storie, e che se n'è andata troppo in fretta. Parlava un pugliese molto stretto, dunque spesso non capivo nulla di quel che mi stava dicendo, ma ero affascinata dal suono, dal viso scavato, dagli occhi ciechi. E mi facevo raccontare la stessa storia mille volte finchè non venivo a capo di un senso. Che non era necessariamente quello giusto, ma era il risultato del tentativo di costruire un ponte. In fondo è la stessa cosa che penso accada quando si scrivono romanzi: scrivo, consegno la storia ai lettori, e devono essere loro - ciascuno di loro - a costruirne il significato. E la scrittura è anche memoria. Ho un rapporto di essenzialità col passato. Mi spaventa la possibilità di dimenticare, di non accorgermi, di ripetermi. E' un rischio che corriamo molto, anche nella nostra vita collettiva: è una società senza memoria, che ripete gli stessi errori, con una tragicità ridicola e imbarazzante.
La malattia mi spaventa molto. La morte no. Viviamo nel buio. La morte è solo un buio più fitto.
Non sono un'insonne. Ho sempre dormito bene e con gusto, anche se non molte ore. E il concetto di stanchezza dipende, per me, dall'importanza di quel che devo fare. Se per me è importante, non sento stanchezza, il che comporta dei rischi, che faccio molta fatica a gestire. Sogno moltissimo, e mi piace, anche quando i sogni son brutti. Sono comunque il segno di qualcosa che nella veglia non sono stata in grado di capire. Dunque va bene lasciarseli vivere dentro: prima o poi, anche dal sogno peggiore qualcosa vien fuori. Risveglio: faticoso e lento, con le brusche accelerazioni del vivere quando si deve organizzare una famiglia e andare al lavoro. E certo che faccio colazione: è forse il pasto più importante della giornata, ed è molto rituale e molto abbondante. Se non riesco a farla, la giornata comincia male, e sono di pessimo umore.
Io non vivo di scrittura, è una scelta. Se considero la scrittura un atto di libertà, vi è un'impossibilità materiale di farne un atto prezzolato. per vivere insegno, un tempo nella scuola superiore, ora all'università. E mi piace molto, in tutt'e due le versioni e per la medesima ragione: è un mestiere che ti mette in relazione col mondo, e se non ti relazioni impazzisci. Scrivere è un effetto collaterale, e ha sempre fatto parte della mia vita. Poi diventare pubblicabili è stato un passo diverso, che ha avuto a che fare con la necessità di rendere intellegibile quel che mi passava per la testa. Il primo romanzo è stato scritto per scherzo e per scommessa. Il secondo per autentico desiderio. Il terzo e quelli dopo perchè avevo qualcosa da comunicare ad altri, e a quel punto sapevo di avere una voce che poteva essere ascoltata. Ho continuato e continuo a cercare il tono giusto, la forma nella quale la persona che sono si incontra con il lettore che vorrei. E su questo ho almeno una, importantissima, persona da ringraziare, ovvero Luigi Bernardi. Molto di quel che so sulla scrittura l'ho imparato da lui. E a dir la verità, anche parecchio di quel che so sulla vita e sul relazionarsi al mondo.
Chi farei sparire? Non saprei. Persone diverse in momenti diversi. Ma le farei sparire solo dal mio mondo: basta che non mi vengano intorno. In generale, farei sparire quelli che parlano a vanvera, e in particolare quelli che usano pomposamente espressioni come "etica della scrittura" e responsabilità sociale dello scrittore' senza avere, nei fatti, idea di cosa tutto questo voglia dire.
Se mi piacerebbe essere invisibile? Oh, sì, mi piacerebbe moltissimo, e soprattutto per curiosità: sono affascinata da quel che la gente fa quando pensa di non essere vista. Sono una ficcanaso che non ha il coraggio di chiedere: dunque cosa c'è di meglio che essere invisibili per scoprire quel che ti serve?
Come mi piace rilassarmi, godermi la vita? Leggendo un buon libro, facendo cose con le mie figlie, nuotando (al mare, però: detesto le piscine), dormendo al sole (ma non in mezzo a una folla su una spiaggia di moda), facendo docce bollenti, mangiando cioccolato fondente, giocando col mio cane, scrivendo, e poi leggendo, traducendo, facendo una bella lezione ai miei studenti, facendo felice un amico. Vedendo gente che sorride. Senza che questo sia un proforma.
Sesso e volentieri? Non saprei. Il sesso è sempre stato inseparabile dall'amore. Sono una donna all'antica.
Nicoletta Vallorani, 1959. Italia. Parlare di due generi distinti, noir e fantascienza, per i suoi romanzi è ozioso, in quanto sono gli scenari fantascientifici a mostrarci una vera detective alla ricerca della verità, mentre lì dove ci si aspetterebbe una caccia all'assassino, cioè nei noir, predominano l'indifferenza e la sfiducia verso la legge (ammesso che ne esista una). La sua prosa è pervasa da un'atmosfera di amarezza e desolazione, mista a un tono dissacratorio nei confronti della struttura di genere. L'opera più matura di Vallorani dal punto di vista stilistico è Le sorelle sciacallo (1999), un vero noir radicale senza poliziotti né investigatori, capace di far emergere lo spazio nudo, al di là delle dicotomie legge/crimine, vittima/carnefice, bianco/nero, ordine/caos. Ricordiamo: Dentro la notte, e ciao (1995), La fidanzata di Zorro (1996), Eva (2002) e Visto dal cielo (2004). (SR dal DizioNoir - DelosBooks 2006)
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