Il cerchio del male: ancora una new entry islandese nel nostro gelido, eccentrico noir. Ma stavolta temiamo di non essere così entusiasti come ai tempi dell’esordio assoluto dell’altro scrittore isolano, Arnaldur Indriđason, peraltro in libreria questi giorni con un secondo romanzo.
L’affascinante ingegnere Yrsa Sigurðardóttir, poco più che quarantenne e già scrittrice per l’infanzia, ha voluto infatti esordire con un thriller a nostro avviso un po’ troppo ambizioso, forse sensibile a possibili traduzioni in inglese e ad auspicabili sviluppi cinematografici.
La vicenda è ambientata ai giorni nostri, ma le radici dell’assassinio del giovane tedesco Harald Guntlieb, in trasferta in Islanda per un dottorato in Storia, affondano nel passato recente della sua vita privata e in quello remoto degli anni bui dell’Europa, quando nel Seicento uomini, e soprattutto donne, venivano mandati al rogo accusati di stregoneria.
È proprio questo delicatissimo equilibrio tra storia e cronaca, tra detection storica e criminale che non viene rispettato dall’autrice: la ricostruzione delle persecuzioni in Islanda, dove curiosamente furono soprattutto uomini a essere processati, sulle tracce del diabolico manuale dell’inquisizione Malleus maleficarum risulta un po’ troppo dotta e fredda, frutto, pare, di una documentazione mal digerita. Il filo rosso che congiunge passato e presente è rappresentato invece dalla personalità deviata dello studente di cui vengono descritte, con compiacimento da narrazione horror, le autolesionistiche civetterie (la lingua tagliata per farla diventare biforcuta, per esempio). Ma solo nel finale si dispiega la complessa, ma non originalissima vicenda familiare di Harald che l’ha portato a incrociare, al di là degli studi “stregoneschi”, la morte.
A indagare su questo complesso e talvolta farraginoso meccanismo c’è una classica coppia di detective, l’avvocato islandese Thora Gudmundsdottir (separata con due figli di cui un adolescente in piena tempesta ormonale) e l’investigatore privato tedesco Matthew Reich, al servizio della famiglia Guntlieb, una sorta di dandy che si diverte a sfottere la poco sensuale avvocatessa salvo poi incrociarla, banalmente, in camera da letto a metà romanzo.
Sistemato su questi binari, che strizzano l’occhio contemporaneamente al romanzo storico, da tempo in auge in tutta Europa e negli Stati Uniti, all’esoterismo alla Dan Brown e alla banale strategia del “in due si indaga meglio” (soprattutto se si è uomo e donna), il romanzo non riserva particolari sussulti, semmai una certa morbosità nel delineare la gioventù dorata islandese che nella noia della vita universitaria cerca improbabili vie di fuga tra sesso e droga (il rock & roll grazie al cielo ci viene risparmiato).
Ed è un vero peccato che l’Islanda, terra così vergine nel campo del noir, non abbia avuto quell’attenzione che per esempio il già citato Indriđason le ha dedicato: al di là di mere indicazioni topografiche, non sentiamo nelle righe del romanzo respirare l’autenticità della vita islandese, ma affrontiamo solo un banale giro turistico per viaggiatori senza troppe pretese.
La Sigurðardóttir sembra avere in cantiere una seconda prova coi due investigatori: speriamo che resista alle sirene dell’omologazione internazionale e sappia dare nuova linfa ad un noir, quello nordico, che ci ha regalato negli ultimi anni alcuni tra i più bei romanzi scritti a quelle latitudini.
Voto: 5
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