Marco Vichi ci ha abituato a storie dense e cariche di emozioni, per il tema che trattano e per il suo stile narrativo. L’autore si è fatto conoscere per le indagini del commissario Bordelli (nel 2004 ha vinto il premio Franco Fedeli con Il nuovo venuto, Guanda 2004), per poi passare a un libro in cui raccoglie quattro racconti (Perché dollari? - Guanda, 2005), dove spicca il duro e coinvolgente Reparto macelleria.
Vichi non finisce di stupirci con questo suo ultimo romanzo, Il brigante, dove in una taverna dell’Appennino pistoiese quattro uomini seduti attorno a un tavolo raccontano la propria vita. La notte è lunga e un furibondo temporale impedisce loro di abbandonare il caldo riparo. Sono gli unici avventori rimasti, tranne un uomo, conosciuto come Frate Capestro e da tutti temuto, che dorme in una panca poco lontano dal loro tavolo. Sarà la notte con il rimbombo dei tuoni e gli squarci dei fulmini, oppure il vino bevuto a fiumi, o la presenza del sanguinario brigante, a indurre i quattro uomini a raccontare una parte della loro vita, quella che non hanno mai osato confessare ad altri.
Il lettore vive quelle storie, le soffre, immerso nella cupa atmosfera del Granducato di Toscana, fatta di povertà, di rassegnazione, dove la legge del più forte impera. Si attraversa la storia del Granducato dal regno di Pietro Leopoldo, fino all’arrivo di Napoleone. Il passaggio da un secolo all’altro, narrato dai quattro protagonisti con un crescendo di suspense, è degno delle migliori tradizionali leggende, quelle favole che ci hanno accompagnato fino al mondo dei sogni quando eravamo bambini, che ci hanno fatto tremare di paura sotto le coperte, ostacolando l’arrivo del sonno.
Questo romanzo ci fa rivivere quei momenti della nostra infanzia, dove ascoltavamo con occhi spalancati e la bocca socchiusa il progredire della storia, fino a un finale sorprendente.
Vichi, con la sua straordinaria capacità narrativa, ci fa comprendere cosa provasse il re persiano di fronte ai racconti di Shahrazàd: non si vorrebbe mai arrivare alla fine.
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