Tutta quell’acqua è l’ultimo libro di Luigi Bernardi, uscito nel settembre 2004 edito dalla casa editrice Dario Flaccovio. È la storia di due esistenze solitarie, quelle di Bianca e Vanni, due persone che cercano di sopravvivere alle proprie paure e ai propri problemi, illudendosi di essere felici. La vita però decide di dare loro una possibilità e i due, quasi per caso, si incontrano. Da questo incontro dipenderà completamente il loro futuro.
Il libro è un'opera difficile da inserire in una vera e propria categoria, a cui è difficile dare un'etichetta. Come si legge nella quarta di copertina:"Un romanzo senza etichette, avvincente come un thriller, poetico come una camminata nella notte, crudele come certe parabole." A te come piace considerarlo?
Un romanzo massimalista. Una storia che ho inventato a partire da elementi plausibili, e dentro la quale ho inserito molte delle mie paure.
Quindi in questo romanzo c'è anche una componente autobiografica?
Pochissimo, in realtà. Il bar dove Vanni incontra gli scippatori è un bar che frequentavo io da ragazzo, alla periferia di Bologna. Anche le partite a biliardo sono modellate su ricordi personali. Il resto non appartiene al mio vissuto, se non come immaginazione di fatti che ho visto o di cui sono venuto a conoscenza. Ti spiego. L'ultimo capitolo del romanzo l'ho scritto per primo, a seguito del disagio che ho provato leggendo un fatto di cronaca. Il primo capitolo è stata la seconda cosa che ho scritto, subito dopo avere assistito a uno scippo, proprio di fronte alla fermata dove spesso prendo l'autobus. Ho scritto queste due cose sull'onda di due emozioni diverse. E allora ancora non sapevo che sarebbero diventate l'inizio e la fine dello stesso romanzo.
E' sempre affascinante sapere da dove nasce una storia e questa ha un'origine molto particolare. Allo stesso modo è interessante cercare di conoscere un po' meglio i protagonisti. Parliamo un po' di Vanni e Bianca, due "persone a metà", come li definisci nel romanzo, due "antieroi" che si trovano a combattere con la quotidianità e con le proprie paure... e non si sa se alla fine escono vincenti dalla loro battaglia.
Sono due persone solitarie, Vanni per scelta, Bianca a seguito di una ferita che l'ha in qualche modo menomata. Vanni si è sottratto pian piano dal mondo intorno, sembra stare bene così, in realtà il suo è un benessere illusorio, che cozza contro una quotidianità che a volte gli fa sentire il peso delle privazioni che si è imposto. Bianca era una ragazza normale, sia pure di indole un po' triste. Il danno psichico l'ha indebolita al punto tale da sentirsi continuamente a disagio. L'incontro fra Vanni e Bianca apre loro la speranza di una vita diversa, i due intravedono qualcosa che forse è soltanto una illusione... O forse potrebbe essere realtà se solo avessero il coraggio di affrontarla.
C'è una frase che pensa Vanni nel finale del libro, riferita a lui e Bianca: "...due persone a metà non fanno una persona intera". E' una frase molto triste, che racchiude una certa rassegnazione davanti a se stesso e davanti a questa ragazza, che preclude quasi una qualsiasi possibilità per loro due.
Vanni ha cercato di forzare il blocco della sua solitudine, lo ha fatto prima rubando un motorino e poi inseguendo gli scippatori di Bianca. Le conseguenze di quelle forzature le ha pagate Bianca e le paga lui stesso.
Non è rassegnazione quella di Vanni, è la dichiarazione di una sconfitta. E la sconfitta, quando dichiarata, possiede una nobiltà maggiore della stessa vittoria. Su questo siamo assolutamente d'accordo.
Cambiando discorso, un altro aspetto molto interessante e centrale nel libro è la guerra. Un elemento sempre presente, a cui si fa spesso riferimento, che cambia e sconvolge le vite dei protagonisti. La guerra come elemento di disturbo, che fa da fondale a questa storia, ma che non viene mai fuori completamente, i riferimenti concreti non sono molti, fatta eccezione per gli aerei che bombardano. Dà l'impressione di essere quasi uno stato dell'animo dei protagonisti.
È la guerra di oggi. Niente più eserciti che si fronteggiano, nemici che puoi guardare con gli occhi ma qualcuno che arriva al tramonto e ti bombarda, invincibile perché non hai i mezzi per opporti. Ho scritto questo libro mentre la Nato bombardava Belgrado. E di Belgrado noi avevamo le immagini che racconto nel romanzo: una città che viveva la propria quotidianità “abbastanza" normale fino a sera, quando l'unica cosa normale diventavano i bombardamenti e l'attesa che finissero. È chiaro che questo tipo di guerra incide sullo stato d'animo, per certi versi lo diventa. E diventa anche la scusa e la giustificazione, in particolare per Vanni, di alcune azioni ed atteggiamenti. Sì, e lui è il primo a esserne sorpreso. Non riesce a capire il proprio atteggiamento. Tentenna. Non sa se si tratta di una giustificazione o di un incitamento. Fino alla notte in cui ruba il motorino non ha fatto altro che sottrarre dalla propria vita. Il furto è un'aggiunta. E un'aggiunta ancora maggiore è inseguire gli scippatori. Lì, con quel gesto, per la prima volta si aggiunge a una storia che non è la sua.
Parlaci un pochino della filosofia della sottrazione, che direi essere un concetto centrale del libro.
È il sistema di vita di Vanni: eliminare dalla propria esistenza tutto quanto gli crea un conflitto. In definitiva, scegliere se stesso come unico punto di riferimento e compagnia, perché è evidente che ogni contatto, prima o poi crea un conflitto. E, siccome Vanni è studioso nonché insegnante di filosofia, si è sentito in dovere di dare una dignità a questa scelta chiamandola filosofia della sottrazione. Quello che noi facciamo normalmente nella vita, tipo non frequentare le persone che ci stanno antipatiche, Vanni lo porta all'eccesso, lo trasforma in patologia. Mentre Bianca si trova a combattere con una patologia dopo un evento traumatico, legato all'acqua.
In questi giorni, in cui il mondo si confronta con la tragedia avvenuta nel Sud Est Asiatico, il titolo del tuo libro sembra quasi profetico... Ma, coincidenze a parte, perchè hai scelto proprio un elemento affascinante come l'acqua, sempre che un motivo ci sia?
Tutti quanti siamo molto legati all'acqua. Siamo fatti di acqua e senza acqua non potremmo vivere. Quando mi sono messo a pensare al personaggio di Bianca e al suo disagio psichico, mi serviva trovare un tipo di evento traumatico molto legato alla quotidianità, che avesse la possibilità di ripetersi. Per questo ho scelto l'acqua, per il suo essere in ogni momento della nostra vita. In quanto all'evento traumatico primario, quello che ha inciso la prima ferita, alla fine ne ho scelto uno legato alla guerra. Sempre durante il conflitto contro Milosevic, un caccia alleato che non era riuscito a bombardare Belgrado ritornò indietro e, siccome non poteva atterrare con la stiva piena di bombe, le scaricò dentro il Lago di Garda. Quando ho letto la notizia ho pensato: e se c'era qualcuno nel lago, un barca, qualcuno che faceva il bagno? Poi sì, le coincidenze con gli effetti dello tsunami in Asia sono state impressionanti. Ho visto in tanti sopravvissuti gli stessi occhi di Bianca, e mi sono chiesto quale, per tutte queste persone, sarebbe stato il rapporto futuro con l'acqua... Di questo argomento credo che potremmo parlare per ore, ma credo che poi si esulerebbe dal libro.
Per concludere, quali sono ora i tuoi progetti, cosa bolle in pentola?
Sto scrivendo Musica finita, il capitolo conclusivo della trilogia Atlante freddo, che dovrebbe uscire ad aprile. Sto anche lavorando ad altri due progetti narrativi, uno ad ampio respiro, l'altro molto breve e viscerale. A loro modo due noir anche questi.
Allora non ci resta che aspettare di leggere i prossimi lavori. Ti ringrazio molto per il tempo che hai voluto concederci e non è detto che non capiterà un’altra occasione per chiacchierare.
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