Non sono necessarie troppe parole per presentare Andrea Camilleri e il suo commissario Salvo Montalbano.

Le ali della sfinge è, infatti, ormai il quattordicesimo volume che vede come protagonista il celebre commissario di Vigata, le cui vicende appassionano un numero sempre più cospicuo di lettori.

In La vampa d'agosto, l'autore aveva lasciato il suo personaggio con una serie di interrogativi sospesi, in cerca di una risposta. Non è qui la sede per sindacare sul fatto che essi trovino soddisfazione in questa nuova avventura. Quello che interessa e che conta è che Camilleri dipinge un commissario sempre più dilaniato tra dubbi e doppie personalità, tra la ricerca di una giovinezza sempre più lontana e la consapevolezza del tempo passato.

La vicenda di indagine sembra quasi fare solo da sfondo a questo percorso interiore e alle vicende personali di Montalbano, passa, in un certo senso, in secondo piano e si snoda con naturalezza sotto gli occhi del lettore. Appassiona e incuriosisce, ma non coinvolge; nel romanzo, infatti, predomina una vena intimista, di ricerca interiore. Il caso giunge comunque a una soluzione, grazie all'intuito del commissario e alla collaborazione dei suoi uomini.

Quello che manca, forse, in Le ali della sfinge è quello spaccato vivo e irrompente di una Sicilia reale e concreta, dura e coinvolgente, che tanto ha caratterizzato le opere di Camilleri.