Nella distratta Milano ne succedono sempre di tutti i colori, oramai lo si sa, ma anche nella sonnecchiante Bassa padana non si scherza. Leggere per credere.
Il ritrovamento di una mano mozzata nella cassetta postale di un pensionato un po' fuori di testa dà il via al secondo romanzo noir di Paolo Roversi, un mantovano di nascita e milanese di adozione che con la penna e la carta ci sa fare e non poco.
La mano sinistra del diavolo è una vicenda appassionante dalla prima all'ultima riga, una di quelle storie scritte in maniera così coinvolgente da farti dimenticare persino che, ogni tanto, arriva l'ora di mangiare o di dormire o di andare in bagno, una di quelle storie che, alla fine, ti lasciano con gli occhi che bruciano e il fuoco dentro, una di quelle storie che ti fanno ringraziare il Cielo di conoscere chi le ha scritte per potergli telefonare e dire quanto ti sono piaciute.
Segretarie avvenenti, rasta ingenui, ristoratori giapponesi, delinquenti comuni, vecchietti tranquilli, ragazze provocanti, per Roversi chiunque deve essere coinvolto, come è giusto che sia, perché il racconto viva in mezzo a tanti morti ammazzati.
Ad accompagnarci, come già accadde in Blue Tango (Stampa Alternativa), l'ostinato cronista di nera Enrico Radeschi che, in sella al suo inseparabile Vespone giallo, si muove a proprio agio fra Milano e la Bassa in una storia senza sbavature e che rende omaggio, in modo discreto e con il dovuto rispetto, a due miti del genere del calibro di Giorgio Scerbanenco e Andrea G. Pinketts, due Grandi con la "gi" maiuscola nel nome ma, soprattutto, nel loro DNA di scrittori di razza.
(Paolo Franchini)
Arriva Radeschi!
Ho scoperto Paolino Roversi (ad essere precisi si chiama Paolo ma mi sembra tanto piccino!) con Niente baci alla francese, che usai come digestivo dopo un paio di Mallopponi che mi erano rimasti sullo stomaco. Poi l’ho seguito con Taccuino di una sbronza ed ora eccomi a tu per tu con La mano sinistra del diavolo, Mursia 2009 (Blue Tango lo leggerò in seguito), già vincitore del Premio Camaiore di letteratura gialla e poliziesca 2007.
Non la faccio lunga. Siamo a luglio a Capo di Ponte Emilia nella Bassa padana. Abbiamo il funerale di Pietro Caramaschi detto Giasér, ex combattente partigiano che avrà il suo bel posto nella storia. Il postino Nello Ruini trova una mano mozzata in una cassetta della posta (si verrà a sapere che è la sinistra scongelata e vecchia di almeno sessanta anni ) insieme ad una lettera indirizzata ad un certo Rudolph Mayher.
Da qui l’inizio di tutto l’ambaradan che vede in prima fila Enrico Radeschi, classe 1973, laurea il Lettere Moderne, giornalista free lance, genio del computer. Lo troviamo in sella al suo Giallone (vespa) con le “bermuda da bagno, sandali di pelle, T-shirt bianca e giubbetto a mezze maniche modello cacciatore”. Fidanzato con Stella che lo tradisce e lo lascia, si rifarà in seguito con Jennifer che ci dà che ci dà che ci dà e lo lascia pure lei (destino perfido fino ad un certo punto…). Suo amico fidato (è proprio il caso di dirlo) il cane Buck razza Labrador, suo amico sfidato il cellulare Motorola sempre scarico. E la parola amico va a fagiolo anche per il vice questore Loris Sebastiani a cui ha salvato la vita durante una sparatoria e che gli procura un bel po’ di notizie.
Dunque la mano mozzata e il primo sospettato: un barbone. Arriva poi il cadavere di una donna soffocata e poi violentata, seguito a ruota da quello di un ottuagenario, di un altro anzianotto e di una seconda mano sinistra mozzata ecc…ecc…Indiziato un albanese innocente sbattuto in prigione e insomma si capisce che ci vanno di mezzo i più deboli.
Tutti presenti i personaggi tipici di un giallo che si rispetti: il maresciallo Boskovic lettore accanito degli scrittori americani e amico di Gatsby, un armadillo che fa le veci del cane, il brigadiere Rizzitani, il medico legale Franco Ambrosio, l’ispettore Mascarani, il Pubblico Ministero Giovanni Altomare, il rappresentante del RIS di Parma certo Piccini, il capo redazione del giornale Beppe Calzolari e via e via…
Abbiamo poi un bar che deve subire la concorrenza di un Nippon sushi, la coltivazione di marijuana, la sbronza da incubo di Radeschi, le vicende sessualmente allegre di Sebastiani, cultura culinaria sparsa in qua e là, sprazzi di paesaggio della Bassa e del Naviglio pavese, situazioni personali mischiate con il lavoro e la Storia con la S maiuscola che riguarda la guerra e la fine del fascismo.
Non manca il movimento, la scazzottata (vedi l’inseguimento di stupratori), qualche spunto scontato, il colpo di scena che viene scavalcato da un altro colpo di scena e infine dal definitivo colpo di scena finale.
Capitoletti brevi a chiudere e ad aprire sempre nuove prospettive, forma frizzante, tono ora ironico, ora pensoso. Tutto plausibile, tutto vivo. Con una buona documentazione storica. Mi pare il libro migliore tra quelli che ho letto.
(Fabio Lotti)
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