Orange County, Los Angeles. Bob Arctor è un agente della narcotici che agendo sotto copertura tenta di risalire la catena di comando di una misteriosa organizzazione criminale responsabile della diffusione della sostanza M, un potente allucinogeno…
Il capolavoro più capolavoro di tutti i capolavori di PKD sullo schermo? Primo “Non ci posso credere”, secondo “Comunque vada sarà una fetecchia” avranno pensato in molti.
Eppure eccolo qua A Scanner Darkly (titolo che rimanda alla I lettera di San Paolo ai Corinzi (13,12): “Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò appieno, come anche sono stato appieno conosciuto”), di Richard Linklater (Prima dell’alba, Waking Life, School of Rock).
Recitato da un cast in carne e ossa con la pellicola ritoccata fotogramma per fotogramma in un secondo momento con pennelli virtuali (la tecnica del Rotoscoping già utilizzata dallo stesso Linklater in Waking Life), procedura che conferisce al risultato finale l’aspetto tipico di un ritratto pittorico, A Scanner Darkly non delude. Non delude perché sceglie l’unica strada consentita per non tradire il testo di P. K. Dick (e che testo!!), ossia rimanergli fedele dall’inizio alla fine, diventando via via che il racconto si snoda una vera e propria seconda pelle fatta di immagini anziché di parole.
Il risultato è una larghissima sovrapposizione tra i due testi, pur se alla lunga fa capolino una straniante sensazione di inutilità visto che già il romanzo di suo bastava largamente a se stesso in termini di impatto visionario.
Ciò nonostante rimane il fatto che l’adesione totale al testo scritto (che le inevitabili ellissi non scalfiscono più di tanto…) ha il pregio di restituire nella sua completezza tutti i punti cruciali del romanzo di Dick. Anzitutto la riflessione su quanto precario, scivoloso, in definitiva sfuggente e inafferrabile, sia il senso di identità, mai come stavolta collassato dalla condizione di agente undercover di Bob Arctor. Sconosciuto ai suoi stessi colleghi, di fronte ai quali per motivi di sicurezza indossa una tuta disindividuante che ne muta continuamente aspetto incrociando migliaia di combinazioni di tratti somatici differenti fino a trasformare chi la indossa in un perfetto signor nessuno, Arctor è conosciuto semplicemente come l’entità Fred, agente infiltrato alle prese con un’indagine molto delicata nel mondo dei tossicodipendenti.
Quando ad un tratto in qualità di Fred gli sarà chiesto di monitorare il comportamento di tossicodipendente altamente sospetto e che risponde al nome di Bob Arctor, circostanza questa che comporterà tra l’altro per Fred/Arctor un continuo rivedersi registrato dalle olocamere che lui stesso in quanto Fred ha provveduto a far sistemare nell’appartamento di Arctor/Fred, diventerà chiaro quanto Dick si sia spinto in avanti sul tema dell’identità come apparato tutt’altro che stabile e definitivo.
Accanto a questo che senza dubbio è il tema principe del romanzo e che passa intatto nel film, c’è tanto altro; in particolare il dolore, la desolazione, l’egoismo, la paranoia che colpisce senza pietà non soltanto la vita di Bob Arctor/Fred (Keanu Reeves), ma anche quelle dei suoi amici, Barris (Robert Downey Jr.) e Luckman (Woody Harrelson), tutte esistenze allo sbando, distrutte dall’abuso della micidiale sostanza M, esistenze che Dick conosceva bene visto che tra quelle esistenze c’era anche la sua, essendo A Scanner Darkly il suo romanzo più autobiografico (ancor più di Memorie di un artista di merda…), esistenze che come scrisse lui stesso “…sono state punite eccessivamente per quello che hanno fatto. Volevano divertirsi, ma si comportarono come quei bambini che giocano per strada che per quanto possano vedere come ciascuno di loro, l’uno dopo l’altro, rimanga ucciso, travolto, mutilato, annientato, non per questo smettono di giocare […] Per un certo lasso di tempo noi tutti siamo stati per davvero felici […] ma questo lasso di tempo è stato terribilmente breve e la punizione che ne è seguita è stata al di là di ogni immaginazione […] per un po’ di tempo io stesso sono stato uno di questi bambini che giocano per strada; come tutti loro, cercavo semplicemente di giocare invece di fare l’adulto, e sono stato punito” (da Un Oscuro Scrutare- Note dell’autore, Philip K. Dick, Fanucci Editore, 1998, pag. 331).
A Scanner Darkly in quanto film non apporta nulla di nuovo a A Scanner Darkly in quanto romanzo, eppure fa qualcosa che merita di essere sottolineato, gli rende cioè omaggio, più precisamente un omaggio a colui che è stato definito a ragione come il “Borges americano”, un autore il cui scanner personale lo ha portato a più riprese a scrutare nel buio più buio, quel buio che avvolge alcune zone dell’anima, quelle zone sulle quali si sorvolerebbe volentieri, quelle zone dove ci si imbatte in cascami d’identità e forme di dipendenza grosse come macigni, quelle zone dalle quali non si esce mai indenni, quelle zone però che nonostante tutto dicono qualcosa che forse vale la pena di stare ad ascoltare.
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