Monster House di Gil Kenan (con Spielberg e Zemeckis nelle vesti di produttori) rappresenta un’intelligente, e benvenuta, variazione del genere “casa stregata”, oppure, secondo la terminologia kinghiana (nel senso di Stephen…), di “brutto posto”.

Se è vero che “Ogni genere, in effetti, si basa sulla promessa di un rapporto con un mondo” (François Jost, Realtà/Finzione. L’impero del falso, Editrice Il Castoro, 2003, pag. 33), Monster House pare fatto apposta per soddisfare sì alcune attese su quel mondo che contiene il “brutto posto”, ma anche per disattenderne altre.

C’è sì una casa che risulta abitata da qualcosa di sinistro, ma per una volta manca nei protagonisti quel fondo di ingenuità e sprovvedutezza che solitamente caratterizza i neo-inquilini della casa infestata e che li porta ad andare ad abitarvi nonostante gli oscuri ed immancabili presagi (ad esempio un fatto di sangue accaduto al suo interno).

Stavolta i protagonisti sono perfettamente a conoscenza della pericolosità della casa, in particolare DJ, un ragazzino alle prese con i primi turbamenti della pubertà che abita proprio di fronte alla tetra dimora, e che ha eletto l’osservazione della casa stessa a suo passatempo preferito.

Altrettanto disattesa è la circostanza che vorrebbe una full immersion da parte dei protagonisti nella casa. Stavolta invece gran parte della vicenda (ad occhio e croce l’85% del tempo...) si svolge all’esterno, in larga parte nel giardino antistante, zona apparentemente franca ma che in realtà non lo è affatto.

Eppure anche disattendendo così le attese, il risultato finale non è per nulla pregiudicato.

Merito di un uso accorto dell’animazione 3D grazie alla quale la malvagità che alligna nella casa trova facilmente la strada per incutere vero e proprio disagio grazie alla resa espressiva di ogni elemento che la compone (vedi le tegole che si sollevano a mo’ di pelo o il tappeto-lingua…), al punto che la breve permanenza dei protagonisti (oltre a DJ il suo amico Timballo e Jenny) al suo interno, non aggiunge nulla alla storia.

Ad essere leggermente fuori fase col resto è soltanto la vicenda che vede il malvagio proprietario della casa, tale Nebbercracker, in qualche modo succube lui stesso della malignità della casa  fin da quando un incidente durante la costruzione della stessa aveva messo fine tragicamente alla sua storia d’amore con una donna cannone rapita da un circo.

 

Giocato come già detto sul rovesciamento delle attese più che sulle conferme, Monster House, altro capitolo cinematografico basato sulla MoCap (acronimo per Motion Capture, ovverosia attori in carne e ossa al lavoro su un set virtuale dove una serie di sensori ne catturano movimenti ed espressioni facciali che in un secondo momento serviranno per animare i personaggi del film vero e proprio), tiene botta sia sul fronte infantile che su quello adulto, lasciando in sospeso soltanto una domanda: visto che alla fine ciò che è stato tolto viene restituito, che fine hanno fatto i due poliziotti un poco imbranati ma proprio per questo simpatici?