Devo andare a casa. Mi metto in piedi e sputo, provo a levarmi sabbia e polvere dalla bocca. Sento tutto il freddo della paura e inizio a tremare. Devo andare a casa, ho detto.
Passo a fianco ai due morti disordinati, non assomigliano a quelli di prima.
In effetti non assomigliano più a niente. Qualcosa luccica a qualche metro di distanza. E' una scarpa del finto biondo. Penso agli incidenti mortali in macchina, che spesso le vittime non hanno più le scarpe. I corpi sono coperti dai teli bianchi, adagiati a lato della carreggiata, e le scarpe sono qualche metro più in là, in un altro posto, avulse dal dramma, ancora allacciate, vive. Un morto senza scarpe è una cosa triste e mi mette angoscia. Ma questa volta non lo penso.
Il boato giunge chiaro, mi fa alzare la testa di scatto.
Un fumo denso rischiarato da alte lingue di fuoco ravviva la notte ad un centinaio di metri. Dimitri ha chiuso il locale di Cimaduomo.
Quando arrivo alla macchina c'è ancora quella dei due balordi, di traverso davanti alla mia. Salgo in auto e metto in moto. Lentamente passo davanti al locale, ci sono tre macchine ferme in mezzo alla strada, qualcuno che guarda lo spettacolo del falò in riva al mare.
Magari Letvania sta bruciando là dentro.
Magari assieme a Cimaduomo. Mi allontano con gli occhi gonfi di lacrime che non vogliono uscire.
Il lungomare
Lo stradone
I lampioni
Gli incroci
I semafori
Le righe bianche della carreggiata
Gli alberghi
Le discoteche
I campeggi
Le siepi trascurate
Tutto il peso della mia disperazione.
Ecco, il freddo della prima lacrima che corre verso la bocca, poi un'altra e un'altra ancora, e strizzo gli occhi e le aiuto ad uscire, accompagnandole con un lamento sommesso ed il petto si alza e si abbassa rapido mentre il corpo è scosso da brividi.
Lampione
Semaforo
Incrocio
Il pickup sbuca grigio dal nulla, non ho il tempo di sorprendermi né di frenare. Vedo distintamente la faccia meravigliata del ragazzo alla guida.
Il nostro sguardo si incrocia.
L'impatto riempie tutto il silenzio della notte di rumore e colori.
Autoscontri.
Ottovolante.
Fumogeni.
Tutto gratis.
Apro a fatica gli occhi e non so, mi sembra tutto molto strano.
Il cielo è scomparso, al suo posto l'asfalto e un pezzo di lamiera accartocciata. Deve essere della mia macchina perché è rossa. Ci sono anche dei giornali e dei fogli di carta sparsi un po’ ovunque, al posto delle stelle.
Tossisco, butto fuori un grumo molliccio di sangue e chiudo gli occhi, perché mi fa male la testa e mi gira forte.
Tossisco ancora e il fiotto di sangue quasi mi strozza, lo sputo su quello che rimane dell'airbag, un pallone scoppiato di gomma da masticare appiccicato al volante.
Penso che la botta deve essere stata bella forte.
Penso che questo del pickup chissà da dove veniva.
Respiro con difficoltà e ragiono sulla teoria del caos applicabile al mio destino.
Potevo stare sdraiato a terra ancora po’ a pensare a Letvania, o potevo stare a guardare l'incendio del locale per qualche minuto ancora, o potevo anche bucare una gomma o fermarmi a piangere come un bambino sul ciglio della strada, il ragazzo del pickup sarebbe sbucato dall'incrocio e non mi avrebbe trovato perché sarei dovuto ancora passare.
Minime azioni che determinano il tuo destino.
Infinite piccole mosse che segnano la tua vita.
Un giocatore di scacchi.
Prevedere
Analizzare
Calcolare ogni singola mossa.
Esco di casa ora o aspetto un minuto. Prendo l'auto o vado a piedi. Passo da questa strada o giro dall'altra. Mi fermo a chiacchierare o tiro dritto.
E rimanere nel dubbio se quella scelta avrà condizionato il tuo futuro.
E pensare così per tutte le tue singole azioni.
Un fottuto giocatore di scacchi perdente.
Regole
Variabili
Teoria del caos
La mia variabile che brucia sulla spiaggia.
Smetto di pensare e mi concentro sul mio corpo. Realizzo di essere a testa in giù, la cintura di sicurezza che mi tiene sospeso in una posizione altamente improbabile. Mi domando perché non sento dolore. Non riesco a muovere le gambe. Per la verità non muovo neppure le braccia.
Muscoli ossa e nervi di un manichino da crash test.
Posso solo fare piccoli spostamenti dolorosi con gli occhi.
Mi pare di sentire una macchina rallentare, sento anche delle voci. Qualcuno si avvicina ma dalla mia posizione scorgo solo i piedi.
Anche questo è ancora dentro, urla qualcuno, deve essere successo da poco. La sua faccia storta sbuca nella mia visuale costretta, mi chiede se lo sento. Abbiamo già chiamato l'ambulanza, resista, dice poi.
Non riesco a rispondergli perché il sangue mi ha invaso la bocca e mi impegno solo a cercare di respirare, e poi mi sento stanco ed ho solo voglia di dormire. Di colpo perdo il sonoro, non mi arrivano più parole e rumori. E perdo anche i colori, e tutto svapora in un'unica tonalità di grigio. Non muovo più gli occhi ma continuo a vedere, come una telecamera caduta a terra che riprendere ancora ciò che accade.
I piedi del soccorritore escono dal mio campo visivo, qualche secondo e riappaiono un po’ più in là, lo vedo fino alle ginocchia. L'uomo si accuccia, ora inquadro quasi tutta la figura piegata. Allunga la mano verso terra e scompare dal campo visivo. Sta prendendo qualcosa, credo.
Sì, ora la vedo. E' una scarpa.
Dio, sembra la mia.
Mi sforzo di muovere le dita dei piedi per capire quale sia, se la destra o la sinistra, ma non riesco. E' strano, di morti e di scarpe te ne ho parlato poco fa. E' una coincidenza bizzarra.
E tutto suona strano quando ha a che fare con la morte.
Sai, mi fanno paura le coincidenze. Le coincidenze sono peggio delle variabili e della teoria del caos, con quelle non hai scampo.
Ma te ne parlerò la prossima volta, ora sono troppo stanco.
Schiaccia pure il tasto stop, per favore, magari così smetto di pensare, perchè ho un dubbio atroce che mi assilla da qualche minuto.
Perché ho un dubbio atroce che mi assilla da qualche minuto.
Uno stupido dubbio sulla mia variabile.
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