Il tanfo di fogna e di rifiuti abbandonati all’aperto da molti giorni, che adesso sentiva fortissimo, come se le si fosse acuito l’olfatto, la obbligò a camminare in apnea, mano alla bocca. Vomitò. Si fermò alcuni istanti a riprendere fiato. Gambe non più scattanti, sempre più deboli e nel tratto in salita del viottolo avvertì di camminare all’indietro. Udì il roto-topo del motore di una piccola… non prestò molta attenzione perché la possibilità …, il sospetto…, il rumore sempre più vicino alle spalle… con uno scatto imprevedibile in quelle condizioni, per non fare da bersaglio a una fottutissima “Cinquecento” dal colore indefinibile antidiluviana e dalle molte ammaccature, salì su un muretto e per poco non cadde quattro metri in basso, nello slarghetto pietroso ridotto a pattumiera di un’estesa gamma di rifiuti. La Cinquecento raschiò, provocandole la pelle d’oca, contro lo spigolo sporgente di una casa e contribuì a limarlo. Una donna anziana si affacciò, gridò “mamma mia!”, temendo che la ragazza ricadesse nel vuoto.
Trovò l’appartamento sottosopra.
Controllò il numero di telefono. Chiamò un taxi. Scese a breve distanza dalla destinazione e raggiunse a piedi l’indirizzo. Le scale di accesso esterne e il pianerottolo erano invasi da cartacce e da lattine. La porta in vetro scorrevole dell’ingresso era spalancata, irrimediabilmente non funzionante. Il gabbiotto che avrebbe dovuto ospitare la guardia giurata era sporco, polveroso e abbandonato: squallida scena da “Arancia meccanica”. Su per le scale ad ogni piano avvisi su foglietti appiccicati con nastro adesivo alle porte vietavano l’ingresso al pubblico. Non un’anima. Aspettò fino a che un impiegato uscì. Chiese a che piano si trovasse l’ufficio del contenzioso.
- Al terzo piano sulla sinistra, c’è la dottoressa.
Andò su e giù per un lugubre corridoio, ristretto da raccoglitori metallici su entrambi i lati, mentre aspettava.
Impiegati entravano ed uscivano con una fretta artificiosa dagli uffici e, attratti dalla bella sgnacchera in mezzo allo squallore burocratico, le gettavano vogliose occhiate da arrapati. Un tipo dai modi bruschi, sospettoso e dal tono imperioso, le disse di stare a seduta e di non curiosare tra le cartelle dell’archivio. Sedette su una panca di legno tipo parrocchiale, senza spalliera. Era impaziente. Accavallava e scavalcava le gambe ogni pochi secondi.
- Lei può andare è tutto a posto – le comunicò un tipo dai capelli arruffati e sudato, “chi era?”, si chiese Martina – “dottore” - chiamò una voce femminile dall’interno – “dottore ci mancherebbe altro” commentò tra sé e fu sul punto di alzarsi dallo scomodissimo posto che le era stato assegnato ed entrare di prepotenza nell’ufficio.
- Devo parlare assolutamente con il responsabile di questo ufficio – e si voltò verso la porta con la targhetta “Capo Ufficio Contenzioso – Sezione II” - incazzata alzò la voce, scattando all’impiedi.
Sbucò allarmata e incuriosita la funzionaria con tutta l’aria di rivolgere un rimprovero a chi osava parlare un tono più alto del consentito, in ufficio, praticamente casa sua. Portava occhiali a televisore fuori moda da presbite; capelli rialzati trattenuti con un elastico, tacchi a spillo, indossava un vestitino grigio che le conferiva un aspetto da donna delle pulizie. Non aveva nulla dell’elegantona incontrata al concerto la sera precedente.
- Si accomodi, se ha qualcosa di molto importante da dirmi; scommetto che è appassionata d’arte – introducendo un argomento di conversazione.
Nulla in quell’ufficio faceva sentire Martina a proprio agio. Le panche, identiche a quelle nel corridoio, pareva che fossero in quell’ufficio da alcuni secoli. Una grande finestra socchiusa. L’aria condizionata in funzione. Il pavimento da lavare, seduta stante. Tanfo di fumo. Gli schedari metallici scoppiavano di scartoffie nonostante l’introduzione del computer. Soltanto la scrivania di Gianna Lentuli, lesse finalmente il nome della dottoressa, che nessuno aveva mai chiamato per nome, su una targhetta in plastica a fianco del telefono, era pulita. Nel posacenere la sigaretta accesa.
- E’ forse uno dei pochi uffici delle tasse al mondo con quadri alle pareti, per illeggiadrire l’ambiente – disse la funzionaria, alzando le mani con le palme rivolte all’insù, sguardo al soffitto, mimando una cerimonia di ringraziamento.
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