- Cubacoschi dipinge su misura, su ordinazione, dietro richiesta, neanche fosse un venditore o commesso qualsiasi. In luglio ed agosto ha venduto molto.

- Non ci ho mai fatto caso, non comprerei mai un quadro di questi pittori – annoiata.

- Glielo puoi restituire.

- Il quadro è mio.

- Restituiscilo ti dico, ti rimborso la spesa – in tono autoritario senza possibilità di replica.

- Ma che importanza…

- Dormi con me stasera? – cambiò discorso e finì di bere il Martini.

- Per ora vado a restituire il quadro, poi vediamo.

Ricordò lo stranissimo colloquio e la preoccupazione affinché la cliente non fosse contrariata. Non ci capiva niente. Possibile che Tulliani fosse stato ucciso in conseguenza di una normale e banale intuizione o di un imprecisato timore?

Il peso della Mamiya le procurò un indolenzimento al polso.

Il pittore si era appollaiato su uno scoglio. Scegliendo un posto originale per lavorare pensava di trasmettere la stessa originalità ai suoi quadri. Passò a guado, l’acqua gli arrivava sopra il ginocchio, tenendo cavalletto, tela, colori, pennelli con le braccia alzate sulla testa. Lo scoglio con un po’ di immaginazione aveva la forma di un sedile e gli permetteva di lavorare stando seduto, anche se le acrobazie non sarebbero state eliminate.

Il subacqueo emerse all’improvviso e nel massimo silenzio. Piantò i piedi sul fondo. Si rizzò e salutò alzando la mano.

Angelo Cubacoschi rispose con un “buongiorno” e strizzò gli occhi per individuare il volto dietro il vetro della maschera.

Gli fece capire con gesti che voleva salire sullo scoglio e gli tese la mano che Cubacoschi afferrò.

Venne tirato in acqua a pancia in giù con un tonfo sordo. Sacco di spazzatura. Si verifica spesso che i residenti non si servano dei cassonetti e si sbarazzino della spazzatura lanciandola in acqua, con la comoda giustificazione che “il mare porta via tutto”. Il vicino ristorante era chiuso per fine stagione estiva e così le case vicine abitate soltanto durante i mesi di luglio e agosto.

Lo spinse sotto prendendogli la testa tra le cosce a cavalcioni, stringendo con forza.

Lo annegò.

Adagiò il corpo contro uno scoglio.

Martina vide il pittore seduto nell’acqua bassa come chi non sapendo nuotare non si allontana dalla riva.

Lo chiamò, ma non ebbe risposta.

Scese alcuni degli undici scalini rifatti di sana pianta con l’acciottolato delimitato da finto marmo, della rampa di scale. Parte della vinedda era occupata da uno scivolo sul quale trovava posto un’unica barca in secco, trattenuta da un cavo d’acciaio agganciato ad un anello cementato nella strada.

“Il pittore ha deciso di prendersi un intervallo”, pensò Martina e lo ripetè a voce alta per richiamarne l’attenzione, fermandosi sul gradino vicino all’acqua.

Testa abbassata sul mento a fissare qualcosa sott’acqua, frotta di pesciolini, un cavalluccio marino, granchi, ghigioni che fossero.

“Pittore!” ‘ chiamò di nuovo.

Scese e fu vicinissima a Cubacoschi.

“Pittore” - a voce bassa. Ebbe la certezza della causa dell’immobilità. Venne sopraffatta dal panico. Il tremolio dalle labbra le si diffuse per tutto il corpo.

“Gridare aiuto! richiamare l’attenzione di vicini pronti ad affermare di non aver visto né sentito nulla? di non saperne niente? tappandosi in casa e guai a disturbarli?”

Lasciato un cadavere, nel tragitto per arrivare al suo appartamento, Martina si imbattè nel secondo, circa un’ora dopo. Coincidenze negative, “ma che è un abbonamento? Non sarà che sono una porta jella?” Le balenarono simili considerazioni, senza immaginare… barcollò.

Si appoggiò con la schiena contro il muro della casa. Reggendosi con la mano sinistra a mano che risaliva gli scalini, nell’altra occupata… “la Mamiya!” Acquistò nuova energia. Aggiustò l’asta del flash allentata, le mani le tremavano maledettamente, tornò indietro, scattò alcune foto del “cadavere in poltrona strangolato anche lui?”, sperando che la documentazione raccolta le sarebbe “servita: a che?”