E poi mi parlavi dei tuoi viaggi. I tuoi viaggi che diventavano i miei viaggi, la tua strada diventava la mia strada, la tua musica la mia melodia di parole. Parole che avevano l’inconsistenza del vento e delle nuvole. Parole come foglie e petali mossi dalla brezza estiva.
Parole di cemento sono state quelle che mi hai scagliato contro, mentre mi baciavi, mi stringevi, mi desideravi e mi volevi, si, perché si capiva che mi volevi, che mi volevi scopare, bastardo, per poi lasciarmi lì, come un’imbecille con lo sguardo da imbecille, un’imbecille che non sa cosa dire e cosa fare, quando mi hai detto ho un’altra per la testa, un’altra che amavi, mentre con me non eri coinvolto. Coinvolto…che cazzo vuol dire COINVOLTO? Mentre io non ero lei, quella che amavi. E meglio che io metta le cose in chiaro, mi dicesti, meglio essere sinceri subito…Bravo, stronzo, complimenti, hai vinto i mondiali della Sincerità, sei contento, bastardo? Te l’hanno data la medaglia d’oro della Correttezza e dell’Onestà? Hai la coscienza a posto, stai bene con te stesso, che ti frega dei sentimenti di un altro. Mi hai calpestato, buttato via, rifiutato, mi hai fatto sentire inutile e trasparente, una cosa inconsistente. Vai al diavolo bastardo, al diavolo. Ho elemosinato il tuo tempo, ti ho aspettato per giorni e giorni, mi accontentavo di essere l’ultimo dei tuoi pensieri, di occupare lo sgabuzzino della tua mente. L’attesa di te diventava affilata come una lama che squarciava la follia di un silenzio sbagliato. La mancanza di te urlava in un disarmonico silenzio dove tu apparivi come una statua di sale e suonavi con mani insanguinate le corde delle mie viscere come suonavi la tua chitarra, e le manipolavi, le avvolgevi su sé stesse, le sfracellavi, lasciandomi senza più sangue, e senza te. No, non doveva essere così. Non mi hai mai chiamato, ti ho sempre chiamato io, e tu eri così gentile, cortese, disponibile, persino contento di sentirmi, grandissimo ipocrita! Sei stato tu ad invitarmi ad uscire ieri sera, o no? Perché, per poi umiliarmi lasciandomi così? Perché allora, perché mi hai fatto questo? Perché mi hai lasciato lì ad aspettarti a casa per uscirtene con quella puttana? Ma io lo sapevo che eri con lei. No, non doveva andare così, non era scritto così nel mio e nel tuo destino. Sono io la donna della tua vita e tu sei l’uomo della tua vita. Questo dovevi capirlo, amore mio, dovevi capirlo…perché non l’hai capito? Perché eri sempre così distratto con me? Perché non contavo niente per te, e venivo dopo di tutto e solo se restava tempo? Ma peggio per te. Hai sbagliato e la devi pagare.
Ma la dovevi pagare, bello, la dovevi pagare e l’hai pagata.
Io la pistola l’ho presa, l’ho presa dal cassetto della scrivania, l’ho presa e sono andata, si sono andata.
O no?.
Non è stato tutto un sogno? O, Dio, fa che sia stato tutto un sogno. Un sogno annebbiato quando ho preso le chiavi dell’appartamento che la portiera teneva in guardiola per fare le pulizie. Sei stato tu a dirmelo che erano lì, è vero? Che idiota che sei stato! Un vero idiota. Sono salita al piano del tuo appartamento. Sapevo che eri lì, sapevo che eri lì invece di essere con me, e che invece di essere con me eri con quella puttana. Ho preso la chiave del portone e l’ho infilata nella serratura. Piano, piano, non si deve sentire nulla. Ma tanto lo so che non sentirai nulla, porco schifoso, lo so che sei impegnato con lei. Sono entrata pian piano, mi sono lasciata guidare dal flebile rumore di un lamento. Proveniva dall’ultima stanza attraversando tutto il corridoio. Sicuramente la stanza da letto. Ma grugnendo come un porco scannato morirai, bastardo. Raggiungo pian piano la stanza, camminando raso raso al muro, non voglio che mi sentano o mi vedano. E mi affaccio dalla porta aperta. Erano tutti e due sul letto, nudi, e lei era sopra di lui, mentre lui le teneva i fianchi. Una fitta , una fitta nello stomaco come mille duemila coltelli. E io che improvvisamente non sento più la fitta me vedo davanti a me solo buio, o meglio azzurro un azzurro intenso che oscura tutto. Mi guardo dall’alto come in un film e vedo me stessa irrompere nella stanza e senza dire una parola sparare a lei alle spalle come si spara ad un coniglio vigliacco che scappa. Non sono neanche riuscita a vederla in faccia quella puttana, ma tanto neanche la voglio vedere la sua faccia schifosa. Lei non è nessuno. Vedo lei cadere sul letto di fianco come una bambola di pezza senza spina dorsale, vedo lui che urla e che finalmente si accorge di me di me che gli punto la pistola dritta nel cuore. Il suo sguardo è terrorizzato, è pallido come il lenzuolo su cui si trova. No mi dice, no non lo fare, tende la mano verso di me un po’ per implorare la mia pietà, un po’ per proteggersi istintivamente. Ma io gli sorrido, mi fa sorridere, è così buffo il mio angelo, così spaventato e vulnerabile. Adesso sono io che comando, adesso sono io quella che tira i fili della tua esistenza, non il contrario e adesso i fili stanno per essere spezzati. Il sorriso diventa man mano una risata, sempre più forte, sempre più forte. Rido mentre gli sparo, mentre il colpo lo spinge sulla testata del letto, e lì lui si accascia con le braccia penzoloni ai fianchi, mentre i suoi occhi si spengono piano piano, piano piano mentre il suo sangue scorre come acqua sorgiva che scaturisce dal suo petto. E quando sono spenti la morte gli lascia stampata sulla faccia l’espressione dell’ultimo estremo dolore.
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