Stavano parlando a voce alta di qualcosa che era successo vicino al lago quella mattina.

Il “dottore” era infervorato.

- Capisci, povera ragazza, avrà avuto si e no vent’anni.

- Ma come è stato?

- Che domande! Che vuole che ne sappia io!

- Ma l’hanno violentata?

- Era vestita di tutto punto, forse no, si saprà dall’autopsia. So soltanto che l’hanno strangolata. Un dettaglio un po’ insolito: non aveva le scarpe.

- Che strano! Be’, forse le ha perse tentando di scappare.

- O sono finite nel lago.

- Povera figlia… Chissà se è la prima vittima di un serial killer. Ci si potrebbe scrivere su parecchio.

- Oh, Dio, che idea! Speriamo di no.

- Certo, speriamo di no.

Dario era fermo al tavolo, aveva afferrato la tovaglia e stava stringendo i denti. I giornali, l’e-mail, parlava di giornali…

Ma che vado a pensare, si disse. I fatti di cronaca accadevano in continuazione, perché quel delitto doveva essere collegato a lui, a quello stupido scherzo?

Era diventato troppo impressionabile. Forse era normale, dopo le disgrazie.

Finì di pranzare, pagò, salutò Carmen e se ne andò. Si chiuse nel retro della libreria e si sedette al computer. Andò subito alla sua posta elettronica: non c’erano messaggi nuovi, sospirò di sollievo. Era stato sicuramente qualche mascalzone che si divertiva con poco.

Spense il computer e si decise ad aprire la libreria.

Dopo una giornata in cui non era riuscito a sedersi per più di un paio di minuti, Dario decise che non ce la faceva neppure a cenare. Quindi niente trattoria.

Se ne andò a casa pensando che aveva voglia solo di dormire. Un’altra giornata come quella e sarebbe rimasto senza energie. In fondo però sapeva che non poteva lamentarsi, aveva una clientela affezionata, alcuni erano anche e soprattutto amici, erano quelli che non l’avevano abbandonato neppure quando li accoglieva con il muso lungo, altri erano persone del quartiere che lo conoscevano da piccolo e frequentavano il negozio da quando c’era suo padre dietro il banco. E considerando che in Italia si legge poco, sarebbe stato uno stupido a lamentarsi.

Nel suo appartamento c’era un’aria pesante, viziata. Aprì tutte le finestre anche se fuori faceva freddo, ma aveva bisogno di aria, di respirare.

Si sdraiò sul letto e accese la tv. Si addormentò cercando di non pensare a niente.

Dario era in libreria, nel retrobottega. Sul tavolo aveva sparso tre giornali. Li aveva letti, appallottolati, distesi di nuovo e riletti. Non riusciva a credere di essere piombato in quell’incubo.

Quella mattina si era alzato di buon umore, aveva fatto colazione, più ricca del solito, e si era preparato per uscire. Si era dovuto fermare nel portone perché c’era qualcosa sopra la sua cassetta della posta, un pacco voluminoso.

Dario lo aveva sollevato, era leggero considerando la stazza, non c’erano timbri postali, né mittente, né indirizzo. L’avevano consegnato a mano. Aveva pensato di aprirlo in negozio.

E aveva avuto quella brutta sorpresa. Era una scarpa, nera da donna, lucida, con il tacco alto. Piccola, misura trentasei.

Dario non riuscì a impedirsi di pensare alla donna del lago.

“Non aveva le scarpe” aveva detto l’uomo della trattoria.

Aveva frugato nella scatola, c’era un biglietto vergato con una scrittura irregolare e a stampatello.

CARO AMICO, TI MANDO UN RICORDO DELLA MIA ULTIMA IMPRESA. L’ALTRA L’HO CONSERVATA IO, TU CAPIRAI, MALGRADO L’AFFETTO E LA RICONOSCENZA CHE HO PER TE, SO DI MERITARMI UN RICORDO. DEVO PUR GODERE ANCH’IO. RICEVERAI PRESTO ALTRE MIE NOTIZIE.

Dario allucinato era restato a fissare il foglio per parecchi minuti, c’era un pazzo che circolava in città, si ripeteva, che l’aveva preso di mira. E il cuore di suo fratello batteva dentro di lui. Era orribile solo pensarlo.

Si era riscosso e di corsa era arrivato all’edicola.

E ora stava immobile con quei fogli davanti e con una gran voglia di piangere e di urlare.

Quella giovane donna si chiamava Marika, aveva ventitré anni, era una studentessa di filosofia. Era carina, con dei begli occhi scuri. Aveva un sorriso aperto. Il giornalista sottolineava la scomparsa delle scarpe, un particolare che gli investigatori avevano tentato di celare per non far pensare a un maniaco feticista, e che lui svelava per dovere di cronaca e per rispetto dei lettori, anche se gli avrebbe cagionato dei grattacapi. Dario guardava il visetto di Marika nella foto in bianco e nero e provava una gran rabbia, un desiderio spasmodico di fermare quella bestia, in qualsiasi modo. Lui sapeva cosa significava perdere una persona cara, non poteva soffermarsi su quello che stavano provando i genitori senza sentire una fitta allo stomaco.