- Come diavolo ti salta in mente? Tua sorella è libera, e ora non te ne frega più niente, vero?
- Non ti rispondo neanche.
- Finitela, vi sembra il momento di litigare?
I due si zittirono, non prima che lo sguardo astioso di Dario incontrasse quello di Gianluca nello specchietto retrovisore.
- Lui mi ha detto che servivo come esca. Per far smuovere Dario, e io non sapevo neppure chi fosse Dario, che Carmen era la vittima predestinata, che doveva avere il tempo di prenderla e che io sarei stata un ottimo diversivo. Non avreste pensato a lei, a proteggerla impegnati come eravate a cercare di fronteggiarlo. “Carmen è il solo modo che ho di colpire Dario al cuore e di condurlo a me, altrimenti se lui non vorrà, non ubbidirà, sarà una pedina sacrificabile. Tu per lui sei un’estranea, non sei nulla, anche se ti uccidessi, rimarrebbe tranquillo. Tu allungeresti la lista e nient’altro, invece lei… si ricorderà per tutta la vita di non avermi prestato attenzione”, così ha detto. Oh, Dio, le sue parole, la sua faccia mi perseguiteranno per sempre.
- Maledetto! – sibilò Dario.
Giunsero finalmente al palazzo dove abitava Carmen.
Non videro le scale. L’uscio era socchiuso.
- Entro io – disse Dario.
Gianluca non lo contestò, si limitò ad alzare le spalle.
Dario si intrufolò nella fessura tra lo stipite e la porta.
C’era il solito silenzio, quell’aria calma, tranquilla che lo metteva in forte agitazione. Il cuore accelerato, il sudore copioso, il respiro affannoso. Si girò a guardare il suo amico, pareva decisamente più quieto.
Si illuminò il salotto. Una luce forte, improvvisa che li investì e li accecò per un attimo.
Una voce languida, carezzevole li raggiunse.
- Accomodatevi, non siate timidi.
Dario e Gianluca si fecero avanti.
In piedi in un angolo, tremante e imbavagliata, ma apparentemente incolume c’era Carmen. Accanto a lei, qualche passo più avanti c’era la causa di ogni male, un uomo alto, bruno, forte, dall’apparente età di trent’anni con una pistola in mano. Ottaviani, inequivocabilmente. Ci aveva azzeccato.
Eppure… Dario l’aveva già incontrato. Quando si era trovato davanti la foto l’aveva notato, però pensava fossero sue paranoie, ora invece sì, sapeva di averlo già conosciuto. Dove?
Ma in trattoria, l’abituale trattoria, quella dove andava sempre, dove lavorava Carmen, dove era nata la loro amicizia e dove il maniaco pranzava e li teneva d’occhio. Si era sicuramente costruito il suo piano guardandoli, comprendendo che bastava passare attraverso lei per arrivare a lui.
Era l’uomo in marrone, quello che lui aveva scambiato per un collega di Gianluca.
Guglielmo sorrise.
E lui ricordò: quel giorno alla trattoria lui stava chiacchierando con qualcuno, gli parlava delle scarpe. Un dettaglio che era stato reso noto solo il giorno dopo da un giornalista. Un dettaglio di cui soltanto poca gente poteva essere a conoscenza e che non avrebbe certo spifferato in giro, tranne la persona lì presente, l’omicida. Come aveva fatto a non pensarci prima? Che imbecille era stato!
- Sono davvero felice che tu sia qui. Di nuovo insieme.
- E ora che sono qui? – tentò di interrogarlo Dario, non aveva la voce molto ferma.
- Il cuore me lo diceva che mi avresti raggiunto. Mio fratello! Siamo nuovamente riuniti.
Gianluca intervenne.
- Sì, è per questo che siamo venuti.
- Tu che c’entri? Non mi sei mai piaciuto, ti sei messo in mezzo tra noi due. E tu gliel’hai permesso – brandì l’arma contro Dario.
- No, no, io… - capiva che doveva blandirlo, soltanto che non sapeva come – volevo che mi aiutasse, per poterti raggiungere. Da solo non ne ero capace, lui è un medico, ha più contatti e così avrebbe potuto rintracciarti. Non lo volevi anche tu?
- Sì, sì. Forse hai ragione tu, lui ti è servito.
- Sì, è stato solamente un mezzo, per me è quello, nient’altro.
Gianluca lo guardò e Dario comprese. Stava cercando di scivolare dietro l’uomo per afferrare Carmen.
Dario continuò a improvvisare.
- Io, io desideravo tanto conoscerti, con tutto quello che ho letto su di te e poi per le tue e-mail, tanto intriganti.
- Ti sono piaciute?
- Certo, mi sono… eccitato.
- Anch’io, anch’io – Ottaviani rise felice. – Ero sicuro che eravamo anime gemelle, me lo diceva il cuore. E tutte le ragazze erano strumenti per impressionarti, per farti smuovere dalla tua dannata libreria, dalla tua apatia, dalla tua squallida vita da libraio. Erano come le briciole di Pollicino.
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