- Averlo saputo – commentò Dario.

- Già, però non aveva ancora lanciato le sue intimidazioni, noi non eravamo implicati.

- Scusate, di cosa parlate? – intervenì Vittorio.

- Se lui è nei dintorni, anche mia sorella è vicina. Dobbiamo muoverci.

- Io non ho capito niente di questa storia, tuttavia dottore io e Vittorio non abbandoniamo gli amici.

- E quel gran figlio di puttana ci ha rotto abbastanza. Questo è territorio nostro.

- E che è difficile protestare con uno che ha una pistola.

- Sta qua dietro, nella terza baracca. Dobbiamo stare attenti. In quattro e con una pistola ce la possiamo fare. Ho proprio voglia di spaccargli la faccia.

- Dario, tu che ne pensi?

- Credo che dobbiamo tentare Gianluca, per Linda e per le

vittime, e per mio fratello. E in quattro potremmo persino riuscirci. Non si aspetterà un assalto del genere.

Si avviarono fuori lentamente e più silenziosamente possibile.

I loro passi leggeri si udivano appena.

Si approssimarono al terzo capanno. Era il più lontano, scuro e silente. Era vasto, il più vasto dei tre. E sembrava il più stabile, il meno danneggiato dall’usura.

C’era una fioca luce dietro una finestra. Si divisero, una coppia rimase davanti, l’altra fece il giro sul retro. Gianluca si accorse che non gli avevano restituito la pistola. Forse però quei due l’avrebbero saputa usare meglio di lui.

Solo che non si sentiva sicuro, c’era qualcosa che non quadrava, quell’uomo non era tanto stupido da farli arrivare così vicini alla sua tana. Doveva essere una trappola. Stava per chiamare Dario per avvertirlo, ma lui si era già precipitato dentro. A Gianluca venne da gridare. Era imprudente, poteva farsi sparare addosso! Però non sentì niente. Né rumore di spari, né di lotta. Molto strano! Dario si riaffacciò all’uscio prima che l’amico avesse il tempo di raggiungerlo.

- Vieni – gli disse. Era calmo, insolitamente calmo.

Gianluca lo seguì e vide la sua sorellina addossata a una parete. Dario stava cercando di liberarla dai legacci alle caviglie.

- Qui non c’è nessuno. Ci ha preso in giro – commentò. – Ci ha trattato come due idioti, e aveva ragione! Come abbiamo potuto credere che fosse tanto semplice?

Gianluca iniziò ad aiutarlo. Dario si alzò e cominciò a sbraitare. Se la prese con tutti, presenti e non. Ma soprattutto con se stesso.

- Dovrei smettere di giocare a fare il poliziotto. Ho messo troppa gente nei casini, tutta gente innocente. Guarda qui, tua sorella…

- Basta! – Gianluca si alzò e lo fronteggiò. – Piantala di lamentarti. Non fai altro che peggiorare le cose così. È ora che la pianti di fare il capro espiatorio, cerchiamo invece di smascherare finalmente quest’uomo. Che dannazione, è un uomo, non un diavolo. E mia sorella forse l’ha visto in faccia.

Linda intanto si stava agitando. Si era levata da sola e con rabbia lo scotch che le ricopriva la bocca.

- Statemi a sentire – sbraitò. – Lui… quel folle, mi ha lasciato un messaggio per voi. Un messaggio urgente.

- Cosa?

- Ha detto di ripetervi soltanto una parola: Carmen.

- Carmen – gridarono i due all’unisono.

- Sì, ha detto che vi avrebbe atteso nel suo appartamento.

Scapparono alla loro auto trascinandosela dietro. I due barboni rimasero a guardarli perplessi.

Gianluca abbracciato a sua sorella sul sedile posteriore la pregò di farsi forza e di narrare loro ciò che rammentava. Lei tra le lacrime ubbidì.

- Non ci capisco nulla! Sono uscita dalla biblioteca e quella bestia mi ha rapito. Mi ha caricato su un furgone e mi ha imbavagliato. È stato un viaggio da incubo. Ero terrorizzata. Ho letto di quelle povere ragazze ed ero convinta di essere spacciata. Mi ha condotta qui e mi ha fatto degli strani discorsi. Su un suo amico che lo avrebbe raggiunto, su ciò che li accomunava, su una nuova vittima su cui si sarebbe accanito. Non si riferiva a me, e Dio mi perdoni, sono stata così sollevata.

- È comprensibile. Per favore, basta lui che si autoflaggella.

- Ma chi è Carmen?

- Una nostra amica. Dobbiamo sbrigarci!

- Sto correndo più che posso.

- Cerca di non ammazzarci.

- Dobbiamo salvarla!

- Sì, e ce la faremo. Oh, Dio!

- Cosa?

- Ho dimenticato di farmi restituire l’arma. Be’, tanto non la sapevamo neppure tenere in mano.

- Sì, però ci dava sicurezza.

- Siamo in due e siamo in gamba. E poi penso che sia il caso di chiamare la polizia.

Dario sbandò.