Si diedero appuntamento per la sera.

Alle otto erano davanti al cancello sbarrato dell’entrata del vecchio porto in disuso.

- E ora? Dove andiamo? Dobbiamo perlustrarlo tutto? – chiese il medico.

- No, in fondo ci sono tre capannoni, ottimi rifugi. Lo conosco bene questo posto. In tanti anni non si sono mai presi la briga di smantellarlo e di costruire qualche altra cosa utile per la città. Tutti i ragazzini vengono a giocare qui. Lo facevo anch’io con mio fratello e i nostri amici. Mi sembra passato un secolo, scavalcavamo e ci nascondevamo tra i rottami di barche abbandonate e casse di legno marcito. Ma soprattutto nei capannoni. C’erano topi e gatti e rifiuti di ogni genere. Spesso qualche vagabondo. Mia madre non lo sopportava, ricordo le sgridate e le punizioni quando scopriva che c’eravamo stati. E considerando quanto tornavamo sporchi non ci voleva molto a immaginarlo.

- A Carmen non hai detto niente, vero?

- Sì, non volevo che insistesse per venire, lei ne è capace. È una faccenda che volevo risolvere da solo.

- E invece la risolveremo insieme. Dai, scavalchiamo.

Con un po’ di fatica, molta di più di quanto rammentasse Dario, ci riuscirono. Ben presto videro i capannoni. Non c’erano lampioni, ma la serata era limpida e la luna quasi piena rischiarava ogni dettaglio.

Gianluca estrasse la pistola. Si era fatto spiegare come funzionava. Un pomeriggio per imparare a sparare era poco, almeno aveva saputo come mettere e togliere la sicura. Da qui a usarla…

Fecero un giro lento attorno al primo capannone. Il più grande e il più fatiscente. Non c’era traccia di passaggio umano recente, si udivano degli squittii e il rumore del vento che filtrava attraverso le intercapedini. Dario sbirciò da un apertura bassa nel legno e non vide che il buio assoluto. I due non respiravano neppure per paura di farsi scoprire.

Si spostarono e si accostarono al secondo. Rimasero fermi ad ascoltare il silenzio per qualche minuto. E il silenzio venne rotto da un’esclamazione.

Dario e Gianluca scattarono in piedi, non sapevano se per attaccare o per scappare, e qualcosa li investì alle spalle. Gianluca venne afferrato da dietro e gli bloccarono le braccia dietro le spalle. Dario ebbe lo stesso trattamento mentre tentava di liberare l’amico. Gli misero uno straccio unto e puzzolente sulla bocca per impedirgli di gridare. Li trascinarono dentro.

- E adesso di questi due che ne facciamo?

Dario guardò l’uomo che aveva parlato che era quello che lo aveva scaraventato a terra.

Era alto, scuro, lacero almeno a quella poca luce che proveniva da una lampada da campeggio posta in un angolo. Le finestre erano oscurate da assi.

Vide Gianluca che cercava di liberarsi dalla stretta dell’altro uomo, ugualmente cencioso. Non poteva essere, si disse, non poteva credere che fosse finita così, che quel mostro avesse vinto. Anzi, quei mostri. Erano due!

- Lasciami - stava urlando il dottore. – Toglimi le mani di dosso. Dov’è mia sorella? Che ne avete fatto? Io vi ammazzo se le avete fatto del male.

- Non ci dispiacerebbe conoscerla questa tua sorella, vero Vittorio? – rise l’uomo. Aveva raccolto la pistola che era caduta a Gianluca e se le era infilata sotto la cintura.

L’altro rispose alla risata. Un suono davvero sgradevole, pensò Dario.

- Eccome, Antonello.

- Di che sorella vai cianciando? – chiese Antonello scuotendo forte Gianluca.

- Lo sapete, razza di degenerati!

- Stai buono, non sei gentile – lo strattonò ancora e lo fece girare per guardarlo in faccia. - Ma tu… Ehi, dottore, che ci fai qui?

- Ma sì, Antonello sei tu. Sono contento di vederti! Come stai?

Dario sbalordito li vide abbracciarsi.

- Allora, non c’entrate? – domandò sempre più interdetto.

Vittorio, intanto, stava aiutando Dario ad alzarsi.

- Se sei amico di chi ha curato il mio socio, sei amico mio.

- Sì, lo è – intervenne Gianluca. – Raccontatemi, vivete qui?

- Sì, da molto tempo. Be’, ultimamente hanno provato a sfrattarci, solo che è difficile riuscirci.

- Siamo tipi duri noi.

- E chi vi voleva sfrattare? La polizia?

- Macché, un pazzo. Sarà un mese che bazzica da queste parti. Una delle prime sere che stava qui ha cominciato a urlare che ci dovevamo togliere dai piedi. Aveva una pistola e ci ha sparato addosso. Tu dottore dovresti saperlo.

- Vuoi dire che ti ho curato per quello? Era una ferita da arma da fuoco, mi ricordo. Ed è capitato circa un mese fa. Quindi era il nostro uomo il responsabile.