Questa poi…

“Oh, lei ha sicuramente ragione mio caro signore – obbietto – ma ammetterà che il caso in questione non era particolarmente complesso: l’inchiesta sulla morte di Abele, trovato con la testa spaccata nel campo dove si guadagnava da vivere con il sudore della fronte, è per il detective incaricato delle indagini, tutto sommato, una passeggiata, dato che vi erano solo tre possibili sospettati… Quattro contando il serpente. E’ solo da Poe in poi che arriviamo a scoprire l’autore di un efferato delitto attraverso una seria indagine poliziesca, per mezzo di quello che gli inglesi chiamano detection. Non prima!”.

A questo punto su dieci interlocutori, sono sicuro che tutti e dieci avrebbero alzato i tacchi accampando come scusa un invito a pranzo dalla suocera, ma non il mio, che mi ribatte: “Be’, come le dicevo, molti classici possono essere considerati dei veri e propri gialli. Prendiamo Edipo re di Sofocle… Che oltre ad avere un colpo di scena finale davvero notevole, ha molta di questa… detection. Edipo per far luce sull’omicidio del re Laio avvenuta anni prima, interroga la vedova del morto, i notabili di Tebe, l'indovino Tiresia, un vecchio pastore, finché non scopre che l'assassino è lui stesso. Direi, che Edipo svolge, quindi, una brillante indagine poliziesca…”.

Ullallà, devo ammettere che il tipo è piuttosto ferrato in materia. Per quel che ne so può anche trattarsi di un conferenziere venuto in città per tenere un dibattito “Sull’arte di scrivere romanzi polizieschi”, a spasso per i giardinetti. L’uomo deve avermi letto in faccia un certo sbigottimento, perché precisa subito: “Oh, sono solo un appassionato di libri gialli… Ne ho letti solo un bel po’”, fa schermendosi.

“Be’, sa anch’io ne ho letti un bel po’”, dico, e così scopriamo la comune passione per la letteratura gialla a conversazione prosegue pigramente per un’oretta sul tema, quasi fossimo ad un incontro con Carlo Oliva, finché non mi lascio scappare che il difetto più grande della letteratura gialla, il suo peccato originale, è di essere forse un po’ avulsa dalla realtà.

“Lo crede veramente?”, mi domanda.

“Be’ certo – gli rispondo – oggigiorno ci si ammazza a sventagliate di mitra in un regolamento di conti o a sediate nelle assemblee condominiali mentre si discute a chi spetti la spesa per la perdita della colonna di scarico delle acque nere. Non si va tanto per il sottile ricorrendo a misteriosi veleni orientali o a ghiaccioli usati come pugnali”.

“Ma vede – fa – non è in questo che risiede l’essenza del racconto giallo…”.

“E in cosa? – gli chiedo allora. – Nell’eterna partita a scacchi tra il poliziotto e il criminale, nell’applicazione ferrea della logica deduttiva ed ecco che il criminale viene bel e acciuffato e si possa assistere ancora una volta a trionfo della giustizia? Ma via, lei sa bene quanto me che nella vita reale non va mai così”.

“Oh, su questo mi trova pienamente d’accordo, ma non è a questo che mi riferivo. Vede, una delle prerogative dell’essere umano è quella di cercare di dare una risposta alle domande che inevitabilmente egli si pone, da quelle estreme ed esistenziali a quelle più concrete e fondate, e questo, mi darà ragione, è anche il punto di arrivo di ogni buon racconto giallo. Il giallo è il genere letterario che meglio di tutti ha interpretato e spiegato il mondo contemporaneo, perché non solo ha scomposto e vivisezionato i nostri aspetti più sinistri, ma più di ogni altra cosa ha dato una risposta alle nostre domande. E questa la sua forza”.

Detto questo si azzittisce per un istante, come cercasse di mettere ordine nei pensieri, poi torna a fissarmi con due occhi strani. Oh-ho, ho visto altre volte quello sguardo e so per certo cosa sta per piovermi addosso – non si ha una faccia da questurino mica per niente se non s’intuissero certe cose – sta per raccontarmi una storia.

“Ecco – mi dice – se mi permette, c’è una vicenda accaduta ad un mio amico che vorrei raccontarle… parla di lui, appunto, di questo mio amico, della moglie e del suo cane. Presenta in conclusione un quesito che, credo, troverà interessante”.

“Prego”, dico, e attacca a raccontarmi la sua storia.

“C’era questo mio amico, che ha sempre posseduto un cane… Setter per lo più, perché da giovane si dilettava di caccia e gli era rimasto l’attaccamento per quella razza in particolare, ma alla morte dell’ultimo aveva adottato una bastardina raccolta dalla strada, una mezza cockerina rossa con lunghe orecchie penzolanti.