Il giorno che cominciò, gli parse un giorno normale.

Soldi a palate!, Ernesto Spinosa, di lunedì mattina, pensava a questo mentre si recava all’ospedale, il 12 dicembre.

Era iniziato tutto per caso. Il giorno prima una donna, a un incrocio, aveva tamponato la sua auto. Niente di grave sia chiaro, ma nel pomeriggio, un amico, uno di quelli che trafficano con tutto, gli aveva teso la mano, soffiato nelle orecchie, Beh, il danno è poca roba, ma se tu volessi…, Che cosa?, aveva risposto Ernesto senza prestare tanta attenzione, Insomma, se tu volessi…senti dolore al collo? E alla schiena? Dì, quando faccio così senti fastidio?, Veramente no, nessun fastidio, Peccato, peccato, Peccato che!, aveva ribattuto nervosamente Ernesto, Vedi, se tu avessi.. che so io… un doloretto… io conosco qualcuno che…, e aveva sospeso, lungamente, Senti, aveva fatto Ernesto, O parli chiaramente oppure…, Stammi a sentire, in questi casi basta avvertire un qualsiasi lieve disturbo alla colonna vertebrale o agli arti per arricchirsi, le assicurazioni caro mio, quelle lì pagano bene… ascolta, io conosco un tale che… ma forse non è il caso…, Continua ti prego, Così così e così.

Non aveva mai provato quella sensazione. Si era insinuata silenziosamente su per le gambe, gli aveva percorso il corpo sommergendolo dolcemente. Mai gli era capitato. Mai in vita sua aveva provato quel torpore. Mai si era sentito strisciare come adesso. Mai, ma era troppo tardi. Arricchirsi!, ecco la parola; la sentiva appiccicarsi sulla schiena, saltellare fra un piede e l’altro, la masticava e la deglutiva, gli faceva prurito in testa, fastidio al naso, solletico alle ascelle. Era in lui, oramai.

Ho detto continua!. Quello aveva continuato. E poi, a finire, Occorre però che lo incontri, il mio amico, ti fisserò un appuntamento per stasera… non c’è tempo da perdere.

Era tornato a casa con un’eccitazione che gli procurava fremiti improvvisi.

Caldo e poi freddo. Farò dei lavori in casa, proprio così, una bella imbiancata è quello che ci vuole. Caldo e poi freddo. Certo se potessi comprare una macchina nuova… questa oramai è ridicola. Una utilitaria magari, niente di che. Caldo e poi freddo. Un viaggio. Ecco quello che mi ci vuole. Un bel viaggio. Non lontano, due tre giorni.

Alle venti in punto si incontrò con Mario, l’esperto.

Parlò, annuì, fece di sì con la testa e poi di no, si morse le labbra, si mangiò le unghia, le inghiottì. Era pronto, sapeva tutto oramai.

E adesso era lì, in macchina, verso l’ospedale, sicuro del fatto suo. Sicurissimo era, e ripassava e ripeteva le azioni che avrebbero fatto di lui un altro uomo.

Arrivò. Scese dalla macchina. Iniziava la recita. Fu un altro.

No, non camminava. Diciamo che strascicava le gambe, anzi no, le faceva rotolare sull’asfalto. La testa poi pendeva da un lato, come un grande ciondolo. Le braccia penzolavano, non come penzola una qualsiasi cosa, penzolavano come se non fossero le sue, come se qualcuno gliele avesse appese al collo.

Un infermiere non appena lo vide, di corsa, fece per sostenerlo. Fu allora che Ernesto, superata che era la prima prova, si lasciò cadere fra le sue braccia, come svenuto.

Comprese tutto, durante il tragitto. La corsa dell’infermiere lungo il viale, l’entrata nel grande portone, le urla del povero soccorritore di fare spazio, il tonfo sulla lettiga. Rideva. Le risate che si faceva. Non di certo davanti a tutti. Rideva dentro, come un idiota.

Fu visitato d’urgenza. Gli fecero un’iniezione. Era l’ora di riprendersi. Mario era stato chiaro.

Aprì un occhio, poi l’altro, chiuse il primo, li aprì entrambi. Alzo la testa, si guardò intorno, si voltò, fece la tosse, deglutì, sonnecchiò, fece lo sguardo stranito, si morse la lingua, sputò del sangue, pianse.

Fu un successo. Il medico trasecolò, Portatelo d’urgenza in radiologia, raggi e tac, sentenziò.

Ernesto era felice, ci era riuscito, sarebbe diventato ricco, ricchissimo.

L’aveva detto Mario, Se ti fanno i raggi è fatta.

I raggi? Era un vero attore lui. La tac, gli facevano, anche la tac. Altro che raggi! Un successo.

Il fastidioso rumore della lettiga che correndo per il corridoio strisciava nel muro, cra cra cra, e casa sua sbiancata, arredata con gusto, quadri d’autore, e tappeti, tanti tappeti, troppi tappeti, cra cra cra, e la macchina d’improvviso si era allungata, una berlina o un fuoristrada magari, cra cra cra, e i due giorni del viaggio erano solo d’aereo. Il Madacascar, o la Polinesia.