Toccava a lui. Comprò un biglietto di curva e a forza di spintoni riuscì ad uscire dalla fila. Era ancora presto. Doveva decidere se era il caso di entrare subito nello stadio e aspettare si presentasse quello con i baffi, oppure attendere l’ultimo momento, entrare e dedicare l’ora e mezza della partita a cercare quel figlio di puttana. Si sedette su una panchina all’ombra di un tiglio la cui corteccia era intagliata di scritte e disegni osceni. Il massimo dell’offesa alla natura. Dal punto di vista materiale e morale. Si dedicò per alcuni minuti alle parolacce intarsiate su quel povero tronco innocente, poi tornò alla sua mano destra. Era rimasto un paio di notti con il naso appiccicato al vetro di una di quelle finestre. Aveva dormito in piedi come i cavalli. O forse non aveva dormito. Si era concesso un pisolino la mattina in macchina, pochi minuti. Un occhio chiuso e uno no. Lei poteva uscire e non la voleva perdere. Forse era stato durante uno di quegli attimi nei quali aveva cercato di riposare un po’… Stava lì in macchina appoggiato al volante… Si era esposto e i due lo avevano beccato. Perché si era esposto così tanto? Di certo aveva delle cose da dimostrare ai colleghi. Il suo agire da solo, in una sorta di clandestinità al limite del regolamento, era per far vedere a tutti il suo valore, ma doveva trattarsi di un’indagine ad alto rischio, un’inchiesta da condurre con altri mezzi, non da solo senza l’aiuto di nessuno. D’altronde non era colpa sua se le cose erano a quel punto. Non voleva più sentirsi un sopportato. Uno poco affidabile… Le aveva udite lui quelle parole in bocca a qualche superiore. Bene. Non voleva più si parlasse di lui in quel modo. Si portò la mano agli occhi per pararsi dal sole che filtrava fra le foglie del tiglio. Ancora quel profumo. Ancora lei. Lei assomigliava a una che riempiva il paginone di una rivista per uomini che aveva un certo successo in un luogo ormai leggendario: il gabinetto della sezione investigativa. C’era addirittura una mensola apposta per quelle riviste e c’era chi, fra gli assidui onanisti del luogo, arrivava a sostenere che una al giorno curava la prostata. “Ma torniamo a lei”, pensò sbadigliando al sole che gli ballava sulla fronte. Ci aveva provato, aveva allungato le mani? Avvertì per un attimo una stretta al cuore. Non sarebbe stato di certo professionale, ma era così bella… Forse era stata proprio lei. Sì, non era del tutto improbabile. Chissà non avesse tentato di sedurlo. Quelle finestre. Le tende aperte, la luce giusta, tutta quell’esibizione davanti allo specchio. Scosse la testa. Non ricordava bene. C’era solo quella traccia di profumo sulla sua mano, per il resto era un’idea vaga, tenuta insieme con lo sputo. Si alzò. Forse poteva mangiare qualcosa, farsi una birra. Ma era in servizio. La birra lo avrebbe annebbiato ancora di più. Il problema più urgente, primo fra le priorità, era cercare di entrare con quel cazzo di pistola. Se lo beccavano armato fino ai denti, probabilmente lo riempivano di botte. Sicché doveva escogitare un piano. Si avviò verso il cancello d’ingresso con lentezza. Gli sarebbe venuta di certo un’idea. Bastava agire con calma, con freddezza, con una certa dose di palle.

Si sarebbe messo la pistola nei pantaloni, fra le gambe, e sarebbe entrato con le dita nel naso. Aveva letto da qualche parte che i poliziotti non ti perquisiscono con troppa attenzione se ti cacci un dito nel naso. Anche la stradale. Non ti ferma volentieri se guidi con le dita nel naso. Forse perché gli fa schifo. Chissà non fosse vero. Si appartò dietro il cassonetto. Lasciò passare un tipo che puzzava di Ceres e di fumo e si infilò la pistola in mezzo alle gambe. Provò a camminare. Una decina di minuti ce la faceva a reggere quell’aggeggio incastrato lì. Tirò un lungo sospiro che gli venne abbastanza male. Riprovò. Uguale. Fanculo. Si avviò verso l’ingresso. Passò il biglietto a uno senza faccia, nascosto da un cappellino a strisce. Il poliziotto avrà avuto diciotto anni. Bene. Si infilò un dito nel naso e cominciò un minuzioso lavoro in su e in giù. Toccava a lui. Il poliziotto aveva tutto meno che l’espressione di uno che ti vuole carezzare l’uccello. Per precauzione continuò a lavorare con il dito indice dentro la narice destra. Non ci fu bisogno di passare alla sinistra. Lo facevano entrare. L’agente non si era accorto della pistola.

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