Un motto: I proprietari passano, la multinazionale resta…
Una girandola di storie, un unico tema: il raggiro come scienza in grado di fermare l’intelligenza umana il tempo necessario per spillarne i quattrini.
Perché chi non si aspetta l’inaspettabile, non lo raggiungerà mai.
Un imprenditore sull’orlo del fallimento. Un prestigioso hotel fiorentino in vendita. Ottanta miliardi di lire per acquistarlo, con obbligazioni ventennali emesse dalla Repubblica di Weimar nel 1926. Un intreccio malavitoso tra rispettabili professionisti, piccola delinquenza che armeggia attorno a grandi affari. E un sottobosco di personaggi e macchiette che si pedinano e rincorrono per ingannarsi a vicenda: al punto da scambiarsi i ruoli fra gabbati e gabbatori. E rendere plausibile una vicenda paradossale e incredibile. Perché, come sosteneva il linguista Pietro Fanfani, Dall’essere il due la carta minore a questo giuoco, si fa la frase "Contare quanto il due di briscola (poco o nulla)". E il senso della metafora descrive plasticamente l’intrigo che coinvolge lo sfortunato protagonista, proprietario dell’hotel.
Un esordio brioso, a mezzo fra cronaca giudiziaria e finanza allegra, per Pier Golia (pseudonimo beffardo di quel passeggero che, nel corso di un viaggio aereo, ebbe modo di raccogliere le confidenze circostanziate del protagonista). Fra colpi di scena e repentini cambi di scena, con il contrappunto di una scrittura veloce, Il due di briscola è un giallo divertente e graffiante; e anche un gustoso manuale dell’imbroglio nelle procedure fallimentari.
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